Afrothecno per gli antenati

/ 03.10.2022
di Cesare Poppi

Non ho mai capito di preciso cosa sia quello che i siti ufficiali chiamano jentigi, Festival di Fuoco, e la gente di etnia Gur-Grushi con la quale lavoro da quarant’anni chiama jimbente. Non so bene in primo luogo nemmeno quando cada, nel senso che essendo il primo mese del calendario islamico, ed essendo il medesimo un calendario lunare, la data varia di anno in anno a partire dall’ottavo giorno della Luna Nuova del mese di… E qui, almeno nel Nord del Ghana, cominciano i guai. In mancanza di un’autorità centrale che dia il via ai festeggiamenti, ogni distretto del Nord del Ghana si arrangia come può a partire dalle direttive – chiamiamole così in regimi festivalieri ad ampia autonomia – che vengono dalle moschee principali di ciascun circondario, anche se poi ciascun villaggio fa quello che gli pare.

Quel che è certo è che jimbente equivale al nostro Capodanno, coincide grossomodo con l’inizio della stagione delle piogge e del nuovo raccolto. Il quadro è complicato ulteriormente dalla sovrapposizione delle versioni islamiche «ortodosse» del significato della festa e della lettura che invece propongono gli interpreti «pagani» che ancora aderiscono a quello che, con tutta probabilità, ne era il significato originale. Per gli Uni si tratta della celebrazione del ritrovamento nottetempo sotto un albero dei figli di un sultano che si riteneva fossero stati rapiti dagli Spiriti della Foresta, per gli Altri – gli Infedeli – si tratta di una festa del Ringraziamento agli Antenati per gli ignami, le nuove piogge e il raccolto a venire. La cifra dunque, per l’Altropologo, delle stratificazioni culturali in una regione dove l’Islam è divenuto religione dominante senza però mai scalzare del tutto le tradizioni precedenti. Di fatto, l’inizio dei tre giorni di festa è dato dai roghi coi quali si cerca di incendiare l’albero colpevole del rapimento – gesto al quale tutti partecipano senza che quasi nessuno possa fornirne una spiegazione coerente: la formidabile peteshi che scorre a fiumi offusca ogni tentativo di chiarimento. Sono le tre di notte. Mi sono ritirato sotto la zanzariera nella corte della casa che mi ospita, sfinito da una giornata intensa e sfiancato da una dose massiccia di un antimalarico cinese che dicono faccia miracoli.

La mente va a quarant’anni fa, la mia Prima Volta in Africa. Allora jimbente era un evento gentile, quasi commovente. I giovani avevano preparato per giorni i costumi delle danze, le ragazze i loro vestiti più belli. Io dormivo sul tetto piatto della casa di fango sotto la zanzariera: la sinfonia dei tamburi mi giungeva dalla piazza centrale del villaggio sulle ali della brezza notturna ed era poesia: bello rannicchiarsi nella coperta ed ascoltare – come un dialogo – i versi delle iene dalle colline imbricarsi al ritmo delle percussioni. Sono cambiati i tempi e/o sono cambiato io? Oggi mi tocca dormire nel cortile, sul pavimento, anche se so che cani, capre e ogni tanto pure i maiali entreranno (porte e cancelli un tempo accuratamente chiusi di notte non esistono più) ad annusare cosa si nasconde sotto la zanzariera. Impossibile appenderla all’interno della stanza che mi è stata assegnata: l’architettura tradizionale in fango essiccato è totalmente sparita. Baracche dai muri di cemento e tetto di lamiera – malsane, soffocanti ma eterne – le hanno sostituite ovunque. Lo stile è inconfondibile: Cina.

Fuori è il caos. Le danze al ritmo delle percussioni sono durate poco più di un’ora come preludio ai falò rituali che si sono ridotti al lancio svogliato di poche frasche per poi passare al pezzo forte della serata. Piovuto da qualche parte (ma da dove? Chi lo ha portato? Chi lo ha pagato? Come viene alimentato?) appare sulla piazza centrale una sorta di totem da Duemilauno Odissea (o forse concerto di Jovanotti). Scassato, rauco, sbrecciato e impallato spara, ruggisce, vomita chilotoni di decibel nella forma di una pista Afrotechno Made in Ghana che mi diranno essere di gran moda: e tutto dentro una chiavetta USB che Dio solo sa dove la infilino. Mi trascino dal mio giaciglio perché devo vedere, documentare, prendere appunti. Le ragazze sono chiuse in casa da un pezzo. Restano i giovani maschi. Ubriachi. Pochi in piedi. C’è chi inciampa e cade a terra. Attacca il track clou della nottata: venti minuti di moto che sgassano tutte assieme: vruumm, vruumm, vruumm… Rientro e collasso anch’io dentro la zanzariera: la febbre è ora alta.