Ogni famiglia – da noi come altrove – conserva nel proprio album il ritratto color seppia di un avo emigrato: partito chi per Milano, Parigi, Lione, Londra, San Pietroburgo, oppure per le contee californiane. Nel corso dei secoli l’arco alpino ha fornito una grande quantità di manodopera, che poteva assumere diverse forme e specializzazioni. Migrazioni prima stagionali e poi definitive, alla volta delle miniere australiane e poi delle Americhe. Alcuni borghi sottocenerini divennero celebri in mezza Europa, per la valentia dei suoi artigiani e dei suoi «magistri», come se la regione dei laghi fosse depositaria di una speciale vocazione artistica, di un «genio dei luoghi» dotato di una vena inesauribile. Ancora recentemente il Friuli Venezia Giulia ha dedicato un convegno e una mostra ad uno scultore nativo di Carona, Giovanni Antonio Bassini detto il Pilacorte, che nella regione ha lasciato tracce notevoli come cesellatore di fonti battesimali, altari e portali. Chissà se a Carona si sono ricordati di lui in occasione del cinquecentenario della morte (1521).
Di questa tradizione illustre, la giovane repubblica ticinese divenne, tra l’Ottocento e il primo Novecento, una convinta ambasciatrice; era il capitale pacifico, fatto di costruttori, architetti e stuccatori, da contrapporre allo spirito guerresco degli antichi confederati. Questa era infatti la vera «anima» dei ticinesi: non quella dei mercenari, delle milizie armate di picche e alabarde, ma quella degli umili «soldati del lavoro», alle prese con schizzi, compassi e filo a piombo sui ponteggi delle principali città del continente.
Ma com’è noto l’album delle migrazioni contiene anche numerose pagine meste, quelle scritte dai giovanissimi spazzacamini, dai «bocia» minorenni al seguito degli adulti, dalle ragazze mandate a servizio nelle famiglie benestanti, oppure a lavorare nelle fabbriche tessili d’oltralpe. Anche questi aspetti vanno tenuti presenti nell’affrontare lo sfaccettato mondo delle partenze e degli arrivi. Ricorda ora le odissee che hanno segnato tanti destini familiari la storica romanda Laurence Marti, con il volumetto Stranieri in patria (Dadò editore). L’autrice, ricorrendo a fondi archivistici e a testimonianze orali, ricostruisce l’immigrazione ticinese nel Giura bernese dal 1870 al 1970. Un afflusso non imponente (poco più di un migliaio di persone, intorno al 1910, la punta massima) ma continuo, uno sgocciolio di manodopera sulle prime quasi esclusivamente maschile. Sono muratori impiegati nei cantieri, edili e ferroviari, soprattutto a Moutier, Tavannes, Saint-Imier; il contratto è spesso stagionale, cosicché nei mesi invernali fanno ritorno al paese natale. La svolta interviene a cavallo della seconda guerra mondiale, con l’arrivo di maestranze femminili, giovani donne provenienti dalle valli la cui abilità manuale risponde ottimamente alle richieste delle manifatture orologiere.
Nel corso degli anni, la colonia acquisisce stabilità attraverso matrimoni misti e nascite, i ritorni si diradano, cosicché si fa largo l’esigenza di organizzare la vita sociale. Le prime a sorgere, alla fine dell’Ottocento, sono le società di mutuo soccorso, seguite dai circoli ricreativi, bocciofile corali e bandelle. Ma l’impulso decisivo arriva con la fondazione delle Pro Ticino, negli anni della Grande Guerra: un’iniziativa, sottolinea l’autrice, che soddisfaceva un doppio bisogno: quello di stimolare lo spirito aggregativo e conviviale, e quello di coltivare il senso di appartenenza ad una Confederazione che ancora guardava dall’alto in basso il piccolo Ticino, considerato non un figlio a pieno titolo ma un semplice famiglio. Con l’ascesa dei regimi dittatoriali in Europa, la Pro Ticino diventa il fulcro e la dinamo dei sentimenti patriottici: difesa del «vero Ticino» da un lato, promozione dell’attaccamento alla patria comune dall’altro. A tale scopo l’associazione vara diverse iniziative, feste e concorsi, sfilate e manifestazioni corali, ponendosi come intermediaria tra l’amministrazione locale e le autorità ticinesi. Pare invece assente l’eco delle contese politiche che per decenni infiammarono il cantone d’origine. Purtroppo scarne le righe che l’autrice dedica ai rapporti con la colonia concorrente, quella italiana (argomento da approfondire nelle prossime ricerche).
Addio Ticino bello
/ 27.09.2021
di Orazio Martinetti
di Orazio Martinetti