A partire dalla fine dell’Ottocento e fino ai nostri giorni l’evoluzione della produzione di cemento è stata, con quella del consumo di energia, l’indicatore più certo della crescita economica. Nella società in via di industrializzazione della prima metà del Novecento, e in quella che stava urbanizzandosi della seconda metà, gli investimenti nell’edilizia e nel genio civile hanno sicuramente avuto un’influenza significativa sulla crescita della domanda globale e del Pil. Il cemento era così importante che, una sessantina di anni fa, lo si riteneva un prodotto strategico per l’economia nazionale e si incoraggiavano le iniziative, come quella della Saceba a Morbio inferiore, che tendevano a creare sul territorio nazionale centri produzione di questa materia indispensabile per l’edilizia e per il genio civile. Oggi, in un periodo dove primeggiano le preoccupazioni per il riscaldamento dell’atmosfera, la produzione di cemento viene sicuramente guardata con occhi diversi e c’è chi si domanda addirittura come si sia potuto costruire un «Mostro» come la Saceba in un territorio con caratteristiche paesaggistiche pregiate come le Gole della Breggia.
Sic transit gloria mundi! È bene però ricordare che non fu la coscienza ecologica in risveglio a decretare la fine di questa società, ma la concorrenza in un mercato che, nella seconda metà del secolo scorso, si fece sempre più internazionale. La Saceba fu fondata nel periodo di maggior espansione della produzione di cemento in Svizzera, ossia gli anni Sessanta dello scorso secolo. Con la crisi petrolifera dell’inizio degli anni Settanta, iniziarono a calare i volumi costruiti e anche la domanda di cemento. La Saceba, che era nata come azienda indipendente, cominciò a segnare il passo e, alla fine, fu assorbita dalla Holcim S.A., il gigante dell’industria del cemento svizzera. Ma il processo di decadenza della produzione di cemento non si arrestò. Anche la Holcim cominciò a conoscere difficoltà crescenti, almeno sul mercato nazionale, e tese quindi a internazionalizzarsi. La revisione della legge sui cartelli, nell’ultima decade del secolo, assestò un secondo colpo doloroso a questa industria, obbligandola, di fatto, a sciogliere il cartello che la proteggeva. Poi, nel nuovo secolo, l’intensificarsi della coscienza ecologica e della lotta all’inquinamento le crearono nuove difficoltà.
I produttori reagirono cercando di ridurre le emissioni di anidride carbonica dei loro forni. L’obiettivo era quello di ottenere un cemento «verde» ossia senza immissioni di anidride carbonica entro trenta anni. Nel frattempo, però, l’innovazione tecnologica ha messo a punto materiali dai processi di produzione non inquinanti che possono sostituire il cemento. Oggi, secondo il parere degli esperti, i produttori di cemento svizzeri – in pratica la multinazionale Lafarge-Holcim – devono quindi prepararsi a un’ulteriore diminuzione della domanda del loro prodotto per la concorrenza di prodotti meno inquinanti che continueranno ad affluire sul mercato dei materiali da costruzione nei prossimi decenni. Stiamo quindi, in un certo senso, assistendo a una corsa tra gli interessi, in questo momento dominanti, del settore, rappresentati dalla Lafarge-Holcim, che è alla ricerca di nuovi procedimenti per ridurre le immissioni di anidride carbonica che accompagnano la produzione di cemento, e gli innovatori nel settore dei materiali da costruzione concorrenziali che intendono mettere sul mercato prodotti sostitutivi sempre meno inquinanti.
In Ticino, i resti della Saceba, che ha prodotto cemento per quattro decenni, dalla fine degli anni Cinquanta fino alla fine del secolo scorso, hanno dato vita a un «percorso del cemento» all’interno del parco naturale delle Gole della Breggia. A dipendenza di come si svilupperanno i materiali sostitutivi, questo percorso potrebbe diventare, in futuro, un monumento a una produzione abbandonata: quella del cemento tradizionale. È probabile che i nostri bisnipoti non vedranno più nemmeno un sacco di cemento.