Abolire o riformare la polizia?

/ 15.06.2020
di Paola Peduzzi

A Minneapolis è cominciata l’emergenza e ora molti vogliono che questa città del Minnesota specchio delle più grandi contraddizioni della vita sociale americana diventi il caso esemplare, il trofeo da brandire per dire: abbiamo vinto. A Minneapolis è stato ucciso dalla polizia, il 25 maggio scorso, George Floyd, un afroamericano di quasi cinquant’anni sospettato di aver usato una banconota falsa da 20 dollari.

Il video – e chissà cosa sarebbe successo se non ci fosse stato il video – dell’omicidio è stato pubblicato: 8 minuti e 46 secondi in cui l’agente Derek Chauvin preme le ginocchia sulla testa di Floyd, togliendogli il respiro fino a soffocarlo. Floyd è sdraiato a terra ed è come tutte le madri nere d’America dicono ai loro figli di essere: devi scusarti, devi obbedire, devi essere remissivo. Eppure viene ucciso. Chauvin e gli altri tre agenti presenti all’uccisione saranno processati, ma le proteste continuano, anche a Minneapolis, da due settimane, pure se i saccheggi e gli incendi sono molto diminuiti: inizialmente i manifestanti chiedevano giustizia immediata, poi quando l’hanno ottenuta – anche per i poliziotti «complici» – hanno alzato la posta.

Ora la piazza di Minneapolis urla lo slogan: «abolish the police», abolite la polizia. E le altre piazze americane – sono ovunque – guardano attente che cosa accade dove tutto è cominciato, e anzi vogliono che l’ultima fase di questa protesta, la fase massimalista, inizi proprio lì. Il consiglio cittadino di Minneapolis ha letto in piazza una dichiarazione: inizia «il processo che porterà alla fine del dipartimento di polizia» della città.

Il sindaco non è d’accordo e anzi proprio il suo rapporto con la piazza racconta bene la trasformazione della battaglia. Jacob Frey, democratico trentottenne, sindaco dal 2018, ha gestito l’uccisione di Floyd, le proteste e la polizia con grande empatia e determinazione fin dal primo momento: anzi, per molti giorni Frey è risultato l’antitesi del presidente Donald Trump. Come spesso è capitato da ultimo, la Casa Bianca ha ingaggiato scontri diretti con molti amministratori locali (basti pensare agli attacchi ai governatori durante il picco della pandemia) e naturalmente il giovane democratico con la retorica kennediana non poteva essere risparmiato.
Frey ha continuato la sua operazione di rassicurazione davanti a una città ferita – e Minneapolis è ferita da sempre perché una vera integrazione non c’è mai stata.

Ma qualche giorno fa, il sindaco amatissimo è stato fischiato dalla piazza che lo aveva fino ad allora acclamato. La sua colpa? Non è a favore dell’abolizione della polizia. Ha detto lì e poi anche in altre occasioni in tv che è a favore di una grande riforma delle forze di polizia, che vuole un cambiamento culturale oltre che pratico dell’approccio della polizia alle persone, che è necessario rivedere voce per voce il budget del dipartimento e investire su una formazione diversa.

Frey insomma è a favore di quella grande riforma che è stata discussa anche al Congresso e che ha a che fare con la riduzione dei fondi alla polizia: anche questa è una materia molto controversa, e non c’è affatto un consenso bipartisan (al Congresso nessun repubblicano ha votato a favore) ma fa parte di un processo di ripensamento innescato dalle proteste e dentro a un perimetro definito.

L’abolizione della polizia è tutt’un’altra faccenda e anche lo stesso Frey lo ha detto chiaramente: su questo non sono con voi. «Abolish the police» potrebbe diventare un boomerang sia per i manifestanti sia per il Partito democratico: la macchina propagandistica di Trump è già al lavoro. L’occasione ghiotta è stata, come spesso accade, fornita dalle manifestazioni stesse che sono entrate nella fase massimalista in cui si vuole regolare tutti i conti in una volta sola, e subito. Joe Biden, candidato democratico alle presidenziali di novembre, ha detto di non essere d’accordo sull’abolizione ma nemmeno sulla diminuzione dei fondi alla polizia e questo ha causato la reazione stizzita dell’ala più radicale (e giovane) del partito.

In realtà anche i repubblicani sono all’attacco, non soltanto secondo le linee dettate da Trump, ma anche segnalando che, di fatto, la riforma adottata al Congresso diminuisce e di molto i fondi della polizia.
Il guaio in vista è chiaro: i democratici si dividono e Trump ne approfitta. E poi i più radicali si accorgeranno che non soltanto non si può abolire la polizia, ma che non conviene soprattutto ai più poveri. E il cambiamento vero – un nuovo patto sociale tra la polizia e i civili – dovrà attendere il prossimo, tragico, giro.