L’espressione che titola questo nuovo appuntamento altropologico è certo fra i residuati scolastici fra i più famigliari fra gli italofoni dell’orbe tutto, fosse anche solo perché chissà in quanti ci siamo chiesti ai tempi cosa mai c’entrasse la fondazione di Roma col condimento dell’insalata. L’equivoco semantico è tornato alla memoria di molti da questa parte delle Alpi nell’ultima settimana. Condito con una buona dose di peperoncino è infatti lo scambio verbale fra la Prima Cittadina della Città Eterna e l’Inquilino del Viminale. Materia del contendere è lo stato deplorevole della metropoli: brutta, sporca e incattivita da episodi di crimine recenti. Così il Ministro degli Interni ha ricordato alla Prima Cittadina (entrambi resteranno rigorosamente anonimi in questa rubrica poiché l’Altropologo è rispettosissimo della privacy) che non occorre essere scienziati per ripulire la città. Alla replica della Sindaca che ha invitato il Ministro degli Interni ad occuparsi degli… Interni (italice a farsi i fatti suoi) è seguita la controreplica che ha ricordato che inseguire i topi e svuotare i cestini spetta al Sindaco e non al Ministro. Insomma, converrete, uno scambio di opinioni ai sommi livelli del dibattito politico. E quanto è peggio è che il tutto avviene alla vigilia di una data importante come è il 2772simo anniversario della fondazione di Roma, quando concordia, armonia e il romanissimo «volemose bè/vogliamoci bene» dovrebbero prevalere per celebrare il fatto che almeno fin qui ce l’abbiamo fatta.
Sembra ci si sia accordati almeno sulla data, visto il groviglio di fonti e interpretazioni delle stesse contrastanti che ancora oggi appassionano certuni. Fatto sta che il 21 aprile 753 AC è la data natale che propose lo storico romano Marco Terenzio Varrone sulla base degli studi che l’astrologo L. Taruzio aveva fatto dell’oroscopo di Romolo, stimolato nell’impresa proprio da Varrone. Questo nonostante l’amico di entrambi Cicerone e lo stesso Plutarco, due persone serie, ritenessero lo studio dell’oracolo del Padre Fondatore impresa comica nella sua stravaganza, non foss’altro perché di Romolo si diceva di tutto e di più – ovvero non si sapeva nulla di certo che non fosse materia di leggenda, mitologie e strategie comunicative volte a conferire alla Città Eterna un pedigree a prova di storico. Enea, principe di Troia, in fuga dalla città conquistata dagli Achei, sbarca in Lazio e sposa Lavinia, figlia di Latino, il re degli Aborigeni che lo stesso Enea sconfigge in duello. Il figlio di Enea, Ascanio, decide di fondare una nuova città che chiamerà Alba Longa e che sarà governata dalla sua discendenza fino a quando Amulio, fratello del legittimo sovrano Numitore, non lo spodesta. Per impedire che nascano eredi dalla linea di Numitore, Amulio costringe la figlia di Numitore, Rea Silvia, a farsi Vestale e dunque a prendere i voti di castità. Non ha però fatto i conti con Marte, che si invaghisce di Rea Silvia. Dall’unione nascono due gemelli – Romolo e Remo. Saputo della nascita dei potenziali rivali, Amulio ordina che siano messi a morte. Ma un servo infedele proprio non se la sente ed abbandona i due in una cesta che affida alla corrente del Tevere. La cesta si arena nella palude del Velabro, fra il Palatino ed il Campidoglio. Il loro pianto attira l’attenzione di una lupa che aveva perso i piccoli. La lupa, secondo alcune fonti, altro non era che una prostituta (le prostitute erano chiamate allora come ancor oggi in gergo romano «lupe» – da cui «lupanare» per «bordello»). La lupa, aiutata da un picchio (l’animale sacro ad Ares/Marte) alleva i gemelli fino a quando vengono trovati da Faustolo, il pastore dei porci di Amulio, che li adotta assieme alla moglie Acca Larentia (che le stesse maligne fonti dicono fosse nota come «la Lupa» per via della sua professione). Una volta cresciuti, i due gemelli si vendicano di Amulio, lo uccidono e rimettono sul trono Numitore. Poi decidono di andare a fondare una città tutta per loro. Il resto è storia: Romolo uccide Remo in un accesso d’ira (alcuni vorrebbero per futili motivi) e il gioco è fatto.
Roma dunque nasce sotto auspici men che auspicabili: figlia di una Vestale infedele e di Lupe dalla dubbia reputazione e cresce sul sangue di uno zio usurpatore e di un gemello assassinato da suo fratello… Non sorprende allora che la data del 21 aprile 753 sia stata scelta per far coincidere la fondazione di Roma con quella della città di Atene che – pare – avrebbe goduto di una partenza meno travagliata. E a coronare il tutto un ultimo colpo di scena: il primo millennio ab urbe condita fu celebrato nella data che oggi è divenuta canonica dall’imperatore Marco Giulio Filippo Augusto (204-249 d.C.) passato alla storia come Filippo l’Arabo per via della sue piuttosto oscure origini di figlio di un anonimo sceicco del deserto. Dettaglio degno di nota che va a condire come la classica ciliegina la storia straordinaria di una Città che è stata ed è tutto fuori che quell’esempio di purezza nazionale che vorrebbero i sovranisti oggi seduti sul Viminale.