Arriva il carnevale, si attivano i servizi di sicurezza e le misure di prevenzione: ovviamente, perché ogni anno questa festa tradizionale fa registrare forme di violenza, pestaggi, vandalismi, ricoveri al pronto soccorso per abuso di alcolici e così via. Ma il carnevale, si sa, è per tradizione la festa trasgressiva: la sua lunghissima storia nella cultura popolare ne mostra con estrema abbondanza il carattere violento, blasfemo, dissacrante: una sorta di frattura nel tempo, dove l’ordine pubblico è sospeso, o addirittura rovesciato.
È appunto questa volontà di capovolgimento l’aspetto più interessante della tradizione carnevalesca. Ottimi studiosi della cultura popolare come Piero Camporesi e Michail Bachtin hanno scavato nelle lontane radici di questa festa invernale: radici che risalgono a ben prima di quel Medioevo cristiano durante il quale la festa comincia ad assumere certe caratteristiche che ritroviamo ancora oggi. Occorre però dire che, in epoca medioevale, le forme di eccesso erano senz’altro più sfrenate e abbondanti di quanto siano oggi: abbuffate pantagrueliche, ma anche sassaiole (non lanci di arance e mandarini come avveniva tra bande di giovani in epoca più recente, ma lanci di pietre durante le risse furiose), botte e bastonate, parodie di processioni liturgiche alle quali partecipavano gli stessi preti e che venivano organizzate direttamente dal clero; e poi, le maschere e il travestimento di un popolano in un’autorità ecclesiastica o in un re. Sono tutti aspetti di un «ordine rovesciato»: le abituali norme di convivenza erano sospese, chi stava in basso veniva elevato in alto, chi sempre obbediva per breve tempo passava al comando. E con questo rovesciamento dell’ordine sociale si salutava la prossima fine dell’inverno, il ritorno della primavera: un altro capovolgimento.
Si può forse stentare a vedere un legame tra il rivolgimento sociale del carnevale e quello cosmico delle stagioni; ma gli studiosi che citavo – e molti altri ancora – l’hanno evidenziato compiutamente. È tipico dell’uomo pensare in modo dualistico: alto/basso, vero/falso, giorno/notte, riso/pianto, vita/morte… La civiltà del passato – quella contadina, soprattutto – vedeva ad ogni ritorno di primavera la rinascita della natura e della vita dopo la morte dell’inverno. L’usanza (attestata anche nel Ticino e ben documentata nel Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana) di bruciare sul rogo un fantoccio raffigurante il carnevale nell’ultimo giorno di questa festività segnava appunto la morte, la fine, dalla quale il giorno seguente avrebbe avuto origine un nuovo inizio. Un inizio che, in passato, riconduceva ad un ordine severo – quello della quaresima, che in tempi non troppo lontani era un periodo di digiuni, di penitenze, di raccoglimento: così, dopo la liberazione nel disordine carnevalesco, si tornava dentro i confini delle convenzioni religiose e sociali che definivano l’ordine consueto.
Così era, in passato. Ma oggi? Oggi, ho l’impressione che anche il simbolismo occulto della morte e rinascita, che rimane pur sempre radicato nell’inconscio, non sia più evocato dalle feste carnevalesche. Come osservava Umberto Eco, «una delle caratteristiche della civiltà in cui viviamo è la carnevalizzazione totale della vita»: le feste si susseguono sempre più fitte, il divertimento è sempre a portata di mano, le regole del comportamento corretto sono sempre più disattese, i confini del lecito sempre più dilatati; e di pagliacci, di buffoni – con o senza maschera – abbonda ogni canale televisivo. Così, ogni rovesciamento del tempo risulta impossibile, ed è impossibile cogliere una frattura nell’andamento della banalità quotidiana. Anche le «battaglie» di carnevale con le risse e gli eccessi trasgressivi non sono più confinate nel tempo della festa: lo sballo del sabato sera è quasi d’obbligo per molti giovani e gli episodi di violenza, contro le persone e le cose, si registrano tutto l’anno.
Un famoso quadro di Pieter Bruegel rappresenta la Battaglia tra Carnevale e Quaresima: volti grotteschi, risa sgangherate, maschere di follia da una parte; volti mesti, corpi consunti, teste velate dall’altra. Oggi una simile battaglia è impensabile. Il riso straripa ogni giorno, anche in tempo quaresimale. E forse, proprio per la sua sovrabbondanza, porta ad un’assuefazione che ne riduce gli effetti liberatori e rasserenanti. Infine, vale pur sempre il detto latino «risus abundat in ore stultorum»: il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi.