A Carnevale, giù la maschera

/ 20.02.2017
di Franco Zambelloni

A Carnevale, si sa, si indossano le maschere. Ci sono molte ragioni a fondamento di questa antica tradizione: mi soffermo su di una che, a mio avviso, dà da pensare.

Nel Medioevo il Carnevale era chiamato, per lo più, «festa dei folli»: lo scopo essenziale della festa era ridere, parodiare e irridere le istituzioni – ad esempio, con la nomina del «roi pour rire», il re per burla. In altri termini, ci si liberava del giogo delle norme del comportamento corretto alle quali si era vincolati per il resto dell’anno; si dava libero sfogo alle bevute, al libertinaggio, al turpiloquio; si lasciava erompere quella voglia di trasgressione che tutti provavano e che – si sapeva – sarebbe poi stata fortemente repressa con l’avvento della Quaresima.

La maschera favoriva questa sconcertante libertà. Sotto il camuffamento, anche personaggi autorevoli, anche preti e frati potevano permettersi quel che ordinariamente non era lecito o non compatibile con la carica e la funzione. In termini freudiani, aveva luogo una rimozione delle inibizioni che costituiva una boccata d’ossigeno per rientrare poi, rilassati, nella «norma». Così era un tempo. Ma oggi? Oggi, a detta di alcuni, è Carnevale tutto l’anno. E non solo perché la festa e il divertimento non sono più relegati a una breve pausa annuale, ma perché tante inibizioni e divieti sono caduti al punto che il confine della trasgressione è spinto via fin quasi all’orizzonte. Ma anche la maschera, mi pare, è dilagata al di fuori del carnevale. Non parlo delle maschere carnevalizie del diavolo, di Arlecchino e così via; parlo di quella finzione che nasconde, sotto comportamenti apparentemente ineccepibili e formalità corrette, personalità ben diverse da quelle che vengono esibite pubblicamente.

Queste cose mi venivano in mente di fronte ai casi di corruzione – anche di funzionari e di autorità – che ultimamente sembrano moltiplicarsi oltre il consueto, quasi che in prossimità del Carnevale le maschere tendano a cadere. Anche il Ticino è stato funestato da queste notizie, che peraltro accomunano tutti gli Stati; e in Italia, poi, circola ormai la battuta: «Il politico che ha le mani pulite, di sicuro ha rubato il sapone». Forse la cosa più sconcertante è che il comportamento disonesto venga anche da alcuni di coloro che, per specifica funzione, predicano l’onestà e la moralità. Dietro la recita moralistica si cela talvolta una realtà ben diversa: pochi giorni fa papa Francesco rendeva noto che c’è corruzione in Vaticano, sia per abusi sessuali che finanziari; ma la cosa era risaputa da tempo per le inchieste giornalistiche di Fittipaldi, Nuzzi, Maltese e altri ancora.

Ripenso a una favola cinese. L’imperatore della Cina temeva che la figlia finisse per sposare un uomo che la facesse soffrire; ordinò perciò ai suoi mandarini di percorrere tutto l’impero, fino a trovare un giovane che avesse il volto della perfetta santità. Il giovane fu portato a corte, i due si sposarono ed ebbero una vita coniugale felice, fatta d’amore e di rispetto reciproco. Poi il marito morì. Mentre veniva avvolto nel sudario, un cortigiano notò sulla tempia del defunto l’orlo di una sottilissima maschera d’oro che gli copriva il volto. Gridando d’indignazione, strappò la maschera dal volto; e allora, tra lo stupore e l’ammirazione dei presenti, si vide che la faccia svelata aveva i lineamenti assolutamente identici a quelli della maschera.

È questa la realtà che si vorrebbe: che l’identità della persona fosse identica a quella esibita in pubblico. È pur vero che una simile trasparenza non è sempre possibile: la vita civile impone che tutti, secondo le circostanze, indossiamo talvolta una maschera – ma questo non significa ancora mentire, né fingere d’essere tutt’altro di quel che si è. La maschera diviene menzogna quando fa da paravento a propositi disonesti. Ma la favola cinese ha forse anche un ulteriore significato: occorre forgiare il carattere con una lunga disciplina, iniziando dall’infanzia e poi per tutta la vita; occorre contenere fin da bambini il comportamento dentro una struttura solida, affinché quel che si forma dentro e quel che appare di fuori finiscano per corrispondere. Questa era la saggezza degli antichi: un medico come Galeno insegnava che se non si correggono gli eccessi del carattere quando si è ancora bambini, dopo è troppo tardi per rimediare. E allora si ricorre alla maschera.