Negli ultimi mesi, in parallelo alla corsa per individuare i fattori scatenanti della pandemia, c’è stata sui media una caccia alla riscoperta di scrittori, studiosi o intellettuali che avevano fatto predizioni collegabili con l’arrivo e il diffondersi del coronavirus. All’inizio i più citati sono stati Alessandro Manzoni per la descrizione della peste nei Promessi sposi, E.M. Forster che ha immaginato un «lockdown» ne La macchina si ferma apparso nel 1909 e Albert Camus per La Peste portata in scena nel 1947. Su tutti si è però stagliato Charles Dickens per l’incipit con cui aveva aperto il suo Racconto di due città: «Era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi, era il secolo della saggezza, era il secolo della stoltizia, era l’epoca della fede, era l’epoca dell’incredulità, era la stagione della Luce, era la stagione delle tenebre, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione». È del 1859, sembra una poesia per il Covid postata ieri l’altro su Twitter! Oltre a profeti del passato ci sono anche i futurologhi moderni. Il più gettonato è stato David Quammen con il suo Spillover, definito dall’editore Adelphi «un po’ saggio sulla storia della medicina e un po’ reportage che descrive sei anni di lavoro di scienziati al lavoro (…) nei mercati delle affollate città cinesi alla caccia di virus». Segue (ma in italiano ancora non c’è) Pandemia, l’ultimo lavoro di Lawrence Wright, già premio Pulitzer nel 2008: la sua storia di un epidemiologo che vuole salvare il mondo da un virus influenzale è stata mandata in stampa prima che il coronavirus si manifestasse in Cina.
Per scacciare l’ignavia che il «lockdown» ha inculcato a noi della terza età, ho provato anch’io a cercare qualche profeta di pandemie non ancora rilevato dai radar attentissimi del web. E, lasciando perdere i riferimenti presenti nel fantascientifico La possibilità di un’isola di Michel Houellebecq (nemmeno lui li ricordava), credo di averne scovati due, anche questi francesi. Il primo è Albert Robida, scrittore dotato di incredibile inventiva vissuto a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Autore di qualcosa come 260 libri di cui 200 illustrati con oltre 60’000 sue illustrazioni, Robida viene ricordato fuori dalla Francia solo per un libro in cui parodiava il connazionale Jules Vernes sin dal titolo: I viaggi straordinari di Saturnino Farandola. Grazie alle sue mirabolanti avventure e alle invenzioni – in parte riconducibili alla sua mania per l’elettricità appena scoperta – con il passare del tempo Robida ha però raggiunto una dimensione letteraria più completa, in particolare grazie al trittico Il Ventesimo Secolo (1880), La Guerra del XX secolo (del 1883) e La Vita elettrica (del 1890). In questi lavori si trovano descrizioni minuziose di macchine e strumenti che saranno costruiti molti anni dopo (un solo esempio: c’è un «telefonoscopo» che consente di vedere e sentire il teatro, oppure di seguire lezioni universitarie a casa...). Così, mentre le sue illustrazioni pullulano di elicotteri, aerei e altre macchine fantasiose, nei testi ci sono riferimenti all’educazione e all’informazione di massa, a movimenti femministi, a «riserve naturali» dove le tecnologie sono vietate e si farà vacanza... Inoltre quando immagina conflitti e battaglie, oltre a inventare macchine da guerra («blockhaus semoventi», ovvero futuri carri armati), bombe e armi chimiche, Robida richiama anche i pericoli di pandemie ambientali: «Nos fleuves et notre atmosphère – multiplication des ferments pathogènes, des différents microbes et bacilles» scriveva nel 1883!
Più espliciti invece, oltre che più attuali, i presagi dell’economista, politologo, banchiere e scrittore Jacques Attali. Noto per essere stato consigliere del presidente Mitterrand, considerato in Francia «scopritore» di Emmanuel Macron, oggi Attali, oltre a prolungare l’inesauribile vena di scrittore e saggista, è attivo come fondatore e presidente di PlaNet Finance, ente no-profit che distribuisce microcrediti a piccole imprese. In un’intervista rilasciata dieci anni fa alla collega di «Repubblica» Anais Ginori, sull’onda della crisi dei sub-prime Attali ipotizzava l’avvento di un nuovo Medio Evo in cui il potere sarebbe stato centralizzato in poche città e gestito da corporazioni che, con il controllo di due terzi della ricchezza del mondo e della quasi totalità delle innovazioni tecnologiche, avrebbero reso insostenibile il sistema pubblico della sanità e dell’istruzione (cioè i disastri oggi addebitati a capitalismo sfrenato e globalizzazione). Inoltre egli preconizzava «sempre più zone «fuori controllo», dove si diffonderanno epidemie e catastrofi naturali climatiche ed ecologiche». Il grado più sconcertante di preveggenza Attali lo raggiunse però in un’altra intervista: parlando della pandemia H1N1 e, pur avendo precisato che lui descriveva gli scenari peggiori affinché non ci si arrivasse mai, scandalizzò i lettori del settimanale «L’Èxpress» profetando un ricorso all’eutanasia per eliminare... i vecchi, «più costosi» da curare!