A caccia del colpevole

/ 22.02.2021
di Luciana Caglio

È una reazione primaria e scatta quando un incidente interrompe la normalità, che sembra spettarci di diritto. Sia un incendio, uno scontro automobilistico, un atto terroristico, una crisi economica, una catastrofe naturale, insomma un evento inatteso, locale o mondiale, suscitano il bisogno di scoprirne le cause, dietro le quali ci dev’essere un colpevole. Da scovare, identificare per fargli pagare il conto. Ora, proprio la pandemia ci fa assistere, in forma addirittura spettacolare, a questa caccia al ladro, cioè al responsabile della nascita e della diffusione di un contagio che, in un anno, ha cambiato, anzi stravolto la faccia del mondo. Ma, alle prese con un imputato inedito, che sfugge alle categorie dei nemici abituali, anche catturarlo diventa difficile. A cominciare dalle sue origini: il mercato cinese con il famigerato pipistrello, il fantomatico viaggiatore tedesco arrivato nel nord Italia, la partita di calcio dell’Atalanta giocata a Bergamo, il carnevale di Bellinzona del febbraio 2020? E si sprecano gli interrogativi sulla sua diffusione.

Qui entra in causa la responsabilità dei politici e delle autorità sanitarie, in primis l’OMS, non all’altezza del suo ruolo istituzionale. E da Ginevra, l’accusa d’inefficienza doveva poi coinvolgere Londra, Washington, Bruxelles e, non da ultimo, Berna e Bellinzona, dove i governanti si sono trovati investiti da un compito più grande di loro. Tanto da giocarsi la poltrona o, comunque, la popolarità. Stando ai sondaggi d’opinione, Alain Berset è il nostro politico più discusso, come dire il colpevole del momento. E sono guai anche per i consiglieri di Stato, i sindaci, i medici cantonali, costretti a emanare provvedimenti, imposti da un’emergenza a loro stessi estranea. Chiusure, aperture, veti assoluti o concessioni parziali, annunciati, a volte, in un linguaggio inappropriato, al limite del ridicolo. Rimarrà negli annali la raccomandazione del capo della polizia cantonale: «Gli anziani è meglio che vadano in letargo». 

Ma, altrove, le cose vanno anche peggio. Nella vicina Italia, è un incessante alternarsi di zone gialle, arancione, rosse destinate a regioni più o meno colpite dalla pandemia. Mentre Trump minimizza, e Johnson si ricrede, si generalizza la confusione. Dappertutto, si naviga a vista in una burrasca. Dove approdare: cioè, quali sono i focolai del contagio da colpevolizzare: i bar, i negozi, le palestre, i cinema, i teatri, le librerie, i musei?

Il fatto di trovarsi tutti a bordo della stessa barca non ha prodotto, però, una compatta unità di fronte al pericolo. Certo, la lotta al Covid ha mobilitato la comunità scientifica mondiale nella ricerca di rimedi efficaci, i vaccini sinonimo di salvezza e speranza. Strada facendo, però, da competizione fra laboratori farmaceutici, destinata al bene della collettività, si è trasformata in gara fra nazioni, impegnate sul fronte del prestigio e dell’orgoglio. Si deve proprio parlare di un generale rilancio del nazionalismo, tanto da sembrare un effetto secondario del contagio: un virus parallelo che attacca sentimenti e comportamenti. Sono all’ordine del giorno proclami del tipo «Siamo stati i più bravi», «La nostra sanità è un modello invidiabile», «La nostra ricerca vanta eccellenze» e via enumerando esternazioni che, magari in toni meno enfatici, esaltiamo pure noi le patrie virtù. In questo clima, si riaccendono persino vecchi litigi da confinanti. Cito, in proposito, la gaffe di Walter Ricciardi, consigliere del ministro italiano della sanità Speranza: «La variante inglese ci è arrivata dalla Svizzera, che ha aperto le piste ai turisti del Regno Unito». Inevitabile la replica elvetica,in particolare ticinese: «A portare il virus nelle case per anziani sono infermieri e assistenti frontalieri». 

Ora, dietro a tutto ciò, c’è un paradosso: cresce il nazionalismo mentre cala la fiducia nei governi. Considerati non soltanto incapaci di governare la pandemia, ma addirittura di esserne, loro, i responsabili. Insomma, ecco il colpevole. Che è sempre l’altro. E, per concludere alla grande, citiamo Seneca: «Inizio della salvezza è la conoscenza delle proprie colpe».