Per la prima volta: un’espressione ultimamente ricorrente quando si leggono notizie riguardanti il ruolo delle donne dell’Arabia Saudita. Soprattutto da quando il principe ereditario Mohammed bin Salman ha lanciato la sua sfida di modernizzazione chiamata Vision 2030, una specie di perestrojka economico-sociale per la petro-monarchia in crisi a causa del dimezzamento del greggio e quindi della riduzione degli introiti dello Stato. Recentissimi segnali di cambiamento al femminile sono: la prima sfilata in pubblico di moda femminile a Gedda il 23 febbraio scorso, il concerto di operetta a Riad per la festa della donna, la prima Settimana della moda nel Paese, sempre a Riad, in marzo.
Riapriranno anche i cinema, dopo un bando di 35 anni voluto dagli islamisti per scoraggiare l’intrattenimento e tutte le forme di divertimento per uomini e donne: ma questa è un’altra storia, che non riguarda solo le donne del regno, ma appunto rientra in un quadro di riforme che prevedono significative aperture sociali.
Gli editti reali a favore delle donne, in questa monarchia assoluta che non ha un parlamento, non ha una costituzione ma solo un consiglio del sovrano in cui siedono i discendenti inturbantati di al-Wahhab che vegliano sulla legittimità degli al-Saud, rappresentano lo spirito delle primavere arabe, giunto fin qui a scalfire l’addirittura intoccabile sistema patriarcale maschile. Il primo vero storico tabù venuto cadere, nel settembre 2017, è la revoca del divieto di guidare alle donne (ma soltanto dopo aver ricevuto il permesso da un uomo); il secondo, sempre di settembre, riguarda il permesso alle donne di andare allo stadio sportivo (anche se soltanto sedute nei settori riservati alle famiglie, lontano dai tifosi maschi non sposati).
Le riforme del giovane principe non si fermano qui, proseguono sulla via tracciata dal defunto re Abdullah, che aveva concesso alle donne il diritto di voto e di elezione alle Comunali del 2015 e aperto la più grande università femminile al mondo. Da febbraio, infatti, è stato concesso alle saudite di gestire business in proprio, questa volta senza il consenso del marito o di un familiare maschio. Inoltre, per la prima volta le donne potranno arruolarsi nell’esercito senza combattere (ma qui l’uomo deve vivere nella stessa provincia nella quale saranno dislocate). Una quasi rivoluzione, che mostra quanto le donne si siano sempre dovute confrontare con permessi o divieti, rilasciati o imposti dall’uomo. Le associazioni per la difesa dei diritti umani stigmatizzano però il fatto che resta in vigore il rigido sistema di tutela del «guardiano» che tiene segregate le donne di qualsiasi ceto sociale: sono i padri, i mariti, i fratelli, addirittura i figli, ai quali la donna deve sempre chiedere il permesso per sposarsi, studiare, lavorare, viaggiare, ricevere cure mediche. Ma, come detto, nel regno saudita le cose iniziano a cambiare e il principe bin Salman ha deciso di cogliere le spirito del tempo: affrancando sempre di più la nazione dall’economia del greggio e del wahhabismo e liberando la forza lavoro femminile che rappresenta una risorsa economica importante del rinnovamento (in pratica però la percentuale delle donne che lavorano è poco più del 20% ). In realtà, nonostante i piccoli passi avanti in termini di emancipazione femminile e di diritti delle donne, la strada è ancora lunga e in salita e certamente sarà ostacolata dagli ambienti religiosi ultraconservatori.
Nel frattempo le eleganti attrici in abito nero di Hollywood hanno sfilato sul red carpet per protestare contro i maschi molestatori. Ma è silenzio sul potere incondizionato dei «guardiani» e sulla legge che non prevede condanne per il marito che stupra la moglie e anzi invita la donna alla pace familiare. I dogmi della tradizione religioso-tribale sono sacri anche per l’Occidente?