Il 2018 è l’anno della «crescita sincronizzata», fenomeno raro che gli esperti stanno già festeggiando perché per una volta che le stelle si sono allineate è bello godersi lo spettacolo. Il 2017 è stato un anno sorprendente per il continente europeo: pensavamo che il progetto comunitario sarebbe imploso e che avremmo dovuto trovarne uno alternativo – meno integrato e ispirato agli stati-nazione –e invece è accaduto il contrario. Ci siamo innamorati dell’Europa, forse per la prima volta con uno slancio unitario tanto spontaneo. Che la Brexit in Inghilterra e Donald Trump nel Regno Unito potessero creare questa magia era pressoché impossibile: dopo colpi così duri non si torna mai uguali a prima. Eppure i negoziatori della Brexit si sono ritrovati uniti e aggressivi, il progetto di riforma europeo ha una road map, un po’ ritardata perché si aspetta il governo tedesco (avevano detto che per Natale ci sarebbe stato, ma il negoziato per la grande coalizione è soltanto all’inizio) ma c’è, e alcuni annunci del presidente francese Emmanuel Macron, europeista in chief, stanno già prendendo forma. Ora che gli europei sono sopravvissuti, e anche piuttosto bene, è necessario consolidare il progetto e dimostrare che non è stata soltanto la paura di morire il traino di questa sopravvivenza.
Le premesse sono perfette: secondo le stime più rilevanti, a partire da quelle del Fondo monetario internazionale che non è certo prodigo di buone notizie, tutte le più grandi economie del mondo cresceranno, e cresceranno assieme. Il fenomeno raro è questo: il sistema che migliora e migliora nello stesso momento. Stati Uniti ed Europa cresceranno del 2 per cento, Brasile e Russia usciranno dalla loro recente recessione, le economie asiatiche ex tigri cresceranno del 5 per cento, l’India dell’8. La Cina andrà avanti al suo ritmo del 6 per cento, e nonostante ci siano molti timori sulla bolla che avvolge l’economia cinese, al momento non c’è eccessivo allarmismo. La convergenza virtuosa è stata creata dagli enormi sforzi fatti per uscire dalla recessione del 2007-2009, dallo stimolo liberale dei mercati emergenti, e dal fatto che l’economia americana si è rafforzata piano ma con costanza. Naturalmente ci sono alcuni paesi che crescono meno e, all’interno di ogni nazione, diversi livelli di reddito crescono in modo differente: la disuguaglianza che da un decennio ossessiona gli economisti e i sociologi non è destinata a estinguersi. Ma se il sistema migliora, gli effetti positivi ricadono su tutti: l’unico problema è che la finestra d’opportunità potrebbe non essere larghissima, pure se alcune stime di istituti finanziari americani, come JPMorgan, dicono che almeno tre anni di crescita sincronizzata sono garantiti. Ma se si vuole stare cauti, è necessario cogliere l’attimo.
La zona euro è la sorpresa del 2017 e quella che ha maggiori ambizioni di riforme per il 2018. Molti sostengono che l’entusiasmo sia eccessivo, restano ancora molti problemi all’interno dell’Ue: la frattura tra est e ovest è sempre più profonda e ora c’è anche l’incognita austriaca, con il suo governo destra-destra del babycancelliere Sebastian Kurz (31 anni), che si dichiara europeista ma occhieggia all’est di Visegard, che mostra molte tendenze illiberali. Lo stallo a Berlino rallenta il processo riformatore europeo, e anche se l’attivismo francese di Macron, il presidente appena quarantenne, compensa la momentanea assenza della cancelliere tedesca Angela Merkel, non si può più perdere troppo tempo. Nella penisola iberica resta accesa la miccia catalana, ora parzialmente disinnescata da un governo autonomista che però non può portare avanti l’autonomismo della Catalogna, ma comunque presente: lo spettro nazionalista non è certo scomparso. Grande preoccupazione viene dall’Italia, che va al voto il 4 marzo prossimo e che è considerata la variabile meno certa del quadro ottimista del 2018. E poi c’è la Brexit, con tutte le sue incognite che riguardano sì gli inglesi, ma anche Bruxelles.
Le sfide del 2018 sono ben chiare agli europei, così come è chiaro che le aspettative alte – e sono altissime – sono già di fatto un handicap: si rischia di creare illusioni. Ma le opportunità restano, il ciclo economico sembra adatto alle riforme, e i leader europei sono determinati a sfruttarle e soprattutto a dimostrare che l’unità e la volontà di mettere mano al progetto europeo non sono soltanto chiacchiere. Le stelle sono allineate, ora sta agli europei far sì che lo spettacolo sia fruttuoso, e che questo 2018 dei miracoli non si trasformi in un’altra occasione persa.