C’è una scuola di pensiero che ritiene utile alla propria felicità compiere questo esercizio: scrivere centocinquanta desideri e poi ridurli a centouno, e leggere questi ultimi ogni giorno. Sembra impossibile, centocinquanta? Ma tutti noi si accontenterebbero di due o tre, la salute propria o di una persona cara, la sicurezza economica, che altro si potrebbe volere? Provate. Vedrete che non è affatto difficile arrivare a centocinquanta, e diventa poi difficilissimo eliminarne quarantanove. Questione di pochi minuti, e come per magia vedrete. Vorrei dirne alcuni che senza fatica sono sgorgati dalla mia tastiera (mi piacerebbe dire penna, ma, ahimè, chi usa più una penna o una biro).
Vorrei per esempio avere prima di essere vetusta l’ultimo grado di docente universitario, che il Ministero mi garantisce essere di mio diritto ben in due materie (ahahah, rido, chi mai vorrà rendermi inviolabile, sarebbe come se Superman dovesse decidere se l’Uomo Ragno ha diritto a essere annoverato tra i supereroi, per carità). Vorrei anche dormire bene, trascorrere notti come a volte capitano, dalle quali ti svegli davvero riposata e andare a dormire non ti sembra più un incognito viaggio, ma un piacevole riposo. Poi voglio anche che una ragazza a me cara capisse quanta fortuna ha, nell’aver trovato un uomo giusto che le sia accanto, nell’essere sana, e bella, nell’aver lasciato un lavoro che non l’ha lasciata povera, ma le permette di cercare quel che più le piace con calma.
Sospirone. Tanto è tutto soggettivo, se lei si sente infelice non le cambieremo la testa. Però lo vorrei. Mi piacerebbe poi mangiare senza fatica, godere del cibo e delle giuste porzioni, senza dovermi impegnare anche con la testa. Non sono anoressica, per carità, e se non mangio avverto mancamenti di forze e quasi svenimenti. Vorrei che tutto fosse più normale, più fluido. Ah, poi, per la mia felicità non possono mancare scarpe (o stivali) belle e comode. Sembrerà una sciocchezza, ma signori miei la vita cambia. Avere i piedi felici o dolenti fa la differenza: evviva la comodità, ma ci vuole anche la bellezza, non si può girare per il mondo con gli scarponi da sci (che tra l’altro non è detto siano facili da portare). La combinazione tra bellezza e comodità è un must, un terno al lotto, un evento da ricordare. Se qualcuno ha da ridire si palesi, ma io sono sicura di questo teorema. Mi piacerebbe poi avere a disposizione bellissimi film, e il tempo per vederli. Potreste dire, chi te lo impedisce. Allora, il tempo per la ricreazione è millimetrato, o si trova subito un bel film o basta, ci si deve accontentare di un talent. Quindi noia mortale e intanto si legge altro. Non è del tutto la dimensione immersiva, che permetterebbe la distrazione dai dolori quotidiani. Vorrei anche che il film non mi desse mal di testa o infiammazione agli occhi, ma sinceramente chi se ne importa.
Leggo poi, nella mia lista dei desideri, «non avere paura». E di che? Dell’ignoto, dico per capirmi, ma mi sembra che il timore sia una sorta di patologia, una cosa di cui dopo una certa età non puoi liberarti. Hai avuto telefonate drammatiche, hai assistito persone care fino alla loro fine, come potresti dormire senza tenere il telefono acceso, non si sa mai. Medici e psicologi consigliano di chiuderlo, di sera, ma chi lo farebbe dopo anche solo una chiamata d’allarme da fratelli, genitori, amici? Poi vengono i desideri belli, come ringraziare le persone che mi vogliono bene, augurare felicità ai nipoti, che nipotini come Qui Quo Qua ormai non sono più.
Vorrei anche recitare e cantare, tornare nella casa dei bisnonni (non è impossibile, pare che il nuovo proprietario ne affitterà la metà, e io sono la prima della lista dei futuri affittuari). Vorrei poi la felicità di altri, non solo fratelli e sorelle e nipoti. Vorrei la felicità per alcuni miei allievi di buona volontà, almeno secondo me. Di alcune amiche, che mi sembrano un po’ sole, nonostante il loro valore, anzi, forse proprio a causa di questo. Mentre scrivo si moltiplicano i desideri, vorrei ricordare solo le cose belle di chi non c’è più, vorrei essere davvero grata per aver conosciuto e frequentato dei maestri: personaggi che in vita magari sembravano matti, o fuori contesto, che però sono riusciti a trasmettermi la normalità dell’eccellenza. Gradirei anche che le persone a me care ricordassero le loro radici, che si domandassero come possono amare di più.
Oh, poi, ho un’infinità di desideri tecnici: usare con più disinvoltura le lingue che pure ho studiato, farmi crescere le unghie come una vera maliarda, avere i capelli lunghi. Soprattutto, però, mi rendo conto, tra questi centocinquanta desideri, i più importanti sono quelli che riguardano la consapevolezza: ma quanto abbiamo, di affetto e bellezza? E quanto siamo sciocchi a non percepirlo. A non saper godere di tanto («tanta roba», dicono gli adolescenti, oggi).