Forse mai come oggi, nel suo ventesimo anniversario, l’11 settembre 2001 ci appare terribilmente vicino. A causa della riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani e delle conseguenze che sta avendo sui movimenti della jihad, come ci illustrano Francesca Marino e Francesca Mannocchi a pagina 24, che da anni frequentano quel paese e altri che sono stati culla di terroristi islamici.
Ci eravamo rallegrati di aver piegato al Qaeda, con l’uccisione di Osama Bin Laden 10 anni fa e di tanti suoi leader, di aver sconfitto il Califfato dell’Isis di al Baghdadi, di aver ridimensionato il terrorismo islamico, che negli ultimi anni non è più riuscito a compiere stragi in Occidente. In realtà, dopo vent’anni il bilancio della guerra al terrorismo che si deve stilare è negativo: l’umiliante fuga degli americani dall’Afghanistan, che hanno dovuto scendere a patti con i talebani per riuscire ad andarsene senza troppe perdite, ne suggella il fallimento e al contempo galvanizza la galassia jihadista.
Probabilmente nessuno si era immaginato, nel 2001, che l’invasione dell’Afghanistan avrebbe avuto un tale epilogo. Eppure le conseguenze dell’invasione dell’Iraq nel 2003 per scalzare Saddam Hussein, ingiustamente sospettato di complottare con i fondamentalisti islamici contro l’America, erano state un’evidente prova degli errori compiuti dal governo americano di Bush figlio: è stata quell’invasione a destabilizzare il paese e a dare origine all’Isis (nato sulle ceneri del ramo iracheno di al Qaeda guidato da al Zarkawi), imprimendo una potente accelerazione al terrorismo islamico contro l’Occidente. Quel che è successo in Afghanistan è una fotocopia ancora più inquietante. La ventennale pseudo-occupazione americana di questo paese è servita solo a posticipare il momento della sconfitta definitiva degli Stati Uniti e della resurrezione dei movimenti jihadisti, che ora si affrettano ad affollare l’Afghanistan. E le tante morti ingiustificabili di civili (definiti cinicamente «danni collaterali»), le torture compiute dagli americani nelle carceri di Abu Ghraib in Iraq, di Bagram in Afghanistan, a Guantanamo, hanno acuito l’odio di migliaia e migliaia di musulmani verso l’Occidente.
Vent’anni fa gli Stati Uniti vennero strappati dal sogno di essere i padroni indiscussi del nuovo ordine mondiale, sorto dalle ceneri della Guerra fredda che li aveva opposti all’Unione Sovietica. Un sogno durato 12 anni, cui è seguito un incubo che oggi e domani potrebbe farsi ancora più nero. Contro un nemico inafferrabile, un’idra che quando perde una testa ne crea tre, in una guerra asimmetrica senza tempo, non è mai possibile affermare con certezza «missione compiuta»: la lezione che l’Occidente deve trarre oggi è di aver vinto tutte le battaglie ma di aver perso la guerra.
Forse non cadranno altre Torri gemelle (qualcosa avranno pur imparato i servizi segreti americani) e non siamo in grado di prevedere quale forza saprà dispiegare in Occidente il terrorismo islamico, ma vedremo probabilmente presto delle forme di destabilizzazione nelle regioni circostanti. A cominciare dall’India, per esempio nel Kashmir, dove il governo nazionalista di Narendra Modi opprime ancor più di prima la maggioranza musulmana, ciò che lo rende terreno fertile per un primo assaggio di una jihad. Ma è senz’altro sul piano geopolitico che vedremo degli scossoni, con quell’impero-non impero americano (parafrasando il pensiero di Lucio Caracciolo a pagina 23) in perdita di autorevolezza e influenza. Non sarà un mondo più stabile quello che si affaccia con la fuga americana da Kabul. Come lo si commenterà fra vent’anni, l’11 settembre del 2001?
11 settembre, un passato che non passa
/ 06.09.2021
di Peter Schiesser
di Peter Schiesser