Nel 1983, in occasione del suo cinquantesimo anniversario di fondazione, la Cooperativa Migros Ticino ha costituito un fondo per ricerche di storia locale e regionale della Svizzera italiana. Questo riconoscimento, attribuito con frequenza biennale, si prefigge l’obiettivo di favorire la pubblicazione di ricerche su argomenti di storia, arte, etnografia, linguistica e storia della letteratura relativi alla Svizzera italiana.
Quest’anno la giuria, presieduta dallo storico Carlo Agliati, ha deciso di assegnare il premio allo studio di Adriano Bazzocco Storia sociale del contrabbando al confine tra Italia e Svizzera. Dall’Unità d’Italia alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Abbiamo chiesto al suo autore di parlarci della sua ricerca, che è frutto di un lavoro di dottorato sostenuto all’Università di Zurigo.
Signor Bazzocco, il contrabbando è un tema locale molto conosciuto nella nostra regione, il suo lavoro indaga gli aspetti sociali ed economici del mondo in cui era inserito.
Bisogna ricordare che per la Svizzera il contrabbando non era un’attività illegale; potremmo dire che si trattava di un tipo di commercio un po’ improprio, in una «zona grigia». Costituiva un reato soltanto in Italia. Ma un reato del tutto particolare, perché non sottostava alla riprovazione della società. Al contrario: sconfinare con la bricolla rappresentava un atto di coraggio e di riscatto da una condizione di subalternità, e le imprese degli spalloni erano celebrate con ostentazione, senza alcun timore che qualcuno spifferasse alcunché alla Guardia di finanza. Il contrabbando si innervava nella convivenza civile. Studiare il contrabbando di un tempo significa inevitabilmente studiare la storia della società.
Quale fu la rilevanza economica dei traffici di frodo per le regioni di confine?
Sul versante italiano i traffici di frodo provocarono perdite fiscali enormi per lo Stato centrale. Ne traevano invece grande beneficio ampie fasce della popolazione locale, che si dedicavano a questa attività molto dura per integrare il magro reddito agricolo. Ma il contrabbando ebbe ricadute economiche anche sul versante svizzero, perché rappresentava uno sbocco commerciale supplementare molto importante.
Nel mondo del contrabbando di un tempo c’era una suddivisione dei ruoli tra Svizzeri e Italiani?
I contrabbandieri erano tutti italiani; gli svizzeri si limitavano a fornire la merce. Sul versante svizzero il confezionamento delle bricolle avveniva alla luce del sole, in perfetta legalità. Il «campo da gioco» tra spalloni e finanzieri era la fascia di confine italiana. La principale «competenza professionale» dello spallone, oltre all’ottima prestanza fisica, era dunque la perfetta padronanza del territorio: doveva conoscere palmo a palmo ogni via, pericolo, anfratto, sapere all’occorrenza dove fuggire e nascondersi.
Quella del contrabbando è una storia lunga che affonda le radici nella notte dei tempi. Lei affronta un periodo specifico.
Ho studiato un arco cronologico piuttosto ampio di quasi ottant’anni: dall’Unità d’Italia alla vigilia della Seconda guerra mondiale, che comprende uno snodo fondamentale per le vicende di confine: la Prima guerra mondiale. Un tempo si poteva circolare liberamente attraverso il confine, senza documenti, né particolari formalità. L’attenzione era posta esclusivamente sul controllo delle merci. Dopo la Prima guerra mondiale diviene centrale il controllo delle persone. Lo straniero diventa sospetto. Sul versante svizzero gli spalloni non possono più muoversi in totale libertà. Le Guardie di confine iniziano a tenere un controllo: obbligano gli spalloni a notificarsi prima di uscire in Italia, mostrando la merce da contrabbandare. In questo modo sono state stilate statistiche che oggi permettono di ricostruire i commerci di frodo. Sono stati per me fonti utili per quantificare i flussi e ricostruire l’andamento stagionale.
Per realizzare il suo studio ha dovuto consultare parecchi archivi: quanto tempo è durata la ricerca?
Come consuetudine nei lavori scientifici, parto da un’analisi dello stato delle ricerche, cercando di delineare i problemi a cui può andare incontro questo tipo di studi. Quello del contrabbando è un tema che si pone in un campo di forze molto ampio, che tocca vari ambiti: la storia delle relazioni diplomatiche, la storia della criminalità, la storia dell’economia e la storia sociale. Questo lavoro non è una tesi di dottorato classica, che nasce su un piano di ricerca ben preciso, ma è il risultato dello spoglio di una moltitudine di fondi d’archivio sull’arco di oltre un ventennio. Ho cercato di dare una visione d’assieme sul lungo periodo per l’intero confine tra la Svizzera e l’Italia.
Cercando di fare un punto sulla situazione della ricerca lei afferma che si tratta di un tema spesso osservato con un’attenzione quasi più letteraria, romantica, che veramente storico-economica...
In effetti sono stati scritti racconti, romanzi, memorie sulla vicenda del contrabbando e questo già nell’800. Naturalmente ho usato questi materiali, ma con cautela, perché tendono a eroicizzare la figura del contrabbandiere, tralasciando gli aspetti più scomodi. Una fonte finora poco utilizzata, rivelatasi molto utile per la mia ricerca, sono i discorsi che i Procuratori del Re delle Province di confine tenevano annualmente in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario. Sono resoconti che danno un bilancio dell’attività nell’anno precedente. Il metodo di valutazione è diverso da quello dei nostri giorni, non riportano dati sistematici, ma se ne possono ricavare comunque molte informazioni. Indicano ad esempio che il contrabbando era di gran lunga il reato maggiormente diffuso nelle Province di confine. Questo anche perché, come scrivevano gli stessi Procuratori del Re, era considerato una specie di sport, e non sottostava alla riprovazione morale della popolazione. Per arginare il fenomeno le autorità italiane costruirono un imponente rete di confine, la celebre «ramina», e potenziarono al massimo il dispositivo di vigilanza. Basti dire che nella seconda metà dell’800, Ticino e Mesolcina erano presidiati da 50 guardie svizzere, mentre sul tratto di confine prospiciente in Italia era invece schierato un esercito di 1300-1500 finanzieri!
Il periodo storico da lei studiato arriva fino alla vigilia della Seconda guerra mondiale, ma poi il contrabbando certo non si è interrotto...
No, al contrario. Durante la Seconda guerra mondiale il contrabbando è stato praticato su larga scala secondo una direzione di marcia opposta a quella tradizionale, ovvero dall’Italia verso la Svizzera. Erano gli anni in cui si smerciava di frodo soprattutto riso. In seguito, fino alla metà degli anni Settanta, si è tornati al contrabbando classico, da nord verso sud, di beni sottoposti in Italia a monopolio o ingenti tributi, in particolare sigarette e caffè. Nel tempo il fenomeno ha cambiato fisionomia con un’accentuazione dei tratti criminali. La figura dello spallone ha perso il suo radicamento sociale. I traffici del giorno d’oggi, più che allo studioso di storia sociale ed economica, interessano a magistrati e criminologi.