Sono passati quasi vent’anni da quando i camosci del Monte Generoso si ritrovarono di colpo sotto i riflettori mediatici perché al centro di un acceso dibattito sull’opportunità o meno di aprirne la caccia. Con il tempo l’attenzione mediatica però è scemata, e oggi, se si escludono i dati risultanti da qualche saltuario censimento da parte dell’Ufficio cantonale ivi preposto, poco si sa sullo stato di salute, sulle abitudini e sulla genetica di questi ungulati.
Il numero dei camosci alpini (Rupicapra rupicapra) negli ultimi quindici anni si è ridotto in modo notevole, arrivando, in alcune regioni, addirittura a dimezzarsi. La popolazione degli ungulati presente sul Monte Generoso è considerata molto particolare, poiché oltre a essere l’ultima di questa specie al sud delle Alpi, è una popolazione chiusa, dunque senza alcuna possibilità di potere contare su nuovi individui esterni.
Si tratta di una popolazione non cacciata, isolata in seguito alla frammentazione e alla perdita di habitat e insediata in una zona non protetta e dal forte valore turistico; il rischio legato alla situazione attuale è dato dalla possibile importante consanguineità, che può condurre a una decrescita degli individui e infine, in ultima battuta, alla loro estinzione.
Come sottolinea Norman Polli (nella foto con la presidente della Commissione culturale del Consiglio di cooperativa Gaby Malacrida), presidente del Comitato distrettuale dei cacciatori del Mendrisiotto, che ha dato vita al progetto «La conservazione della popolazione dei camosci alpini del Generoso», se si desidera conservare questa popolazione, la cui sopravvivenza è fondamentale per il mantenimento della biodiversità e dunque della fauna di montagna, è necessario conoscerne dapprima a fondo lo stato di salute attraverso uno studio dettagliato della situazione attuale.Il progetto lanciato dal Comitato distrettuale dei cacciatori del Mendrisiotto tra i suoi obiettivi principali ha individuato il censimento della popolazione, la sua caratterizzazione genetica, oltre alla comprensione del suo stato generale di salute e delle sue dinamiche.
Lo studio dei dati raccolti permetterà, in un secondo momento, di sviluppare delle soluzioni ad hoc per la conservazione di questa specifica popolazione che potranno poi eventualmente essere applicate anche ad altre popolazioni della medesima specie isolate, o parzialmente isolate, sulle Alpi.L’importante e ambizioso progetto (su cui torneremo nel corso dell’anno prossimo) ha preso il via questo mese e si protrarrà fino al dicembre del 2024.