Grazie alla gentile disponibilità del direttore del Centro di dialettologia e etnografia di Bellinzona vi offriamo un estratto della pubblicazione, raccogliendo qui alcuni spunti che trattano delle credenze magiche legate al Natale. / Red.
Il periodo invernale che va grosso modo dall’inizio di novembre, con la ricorrenza dei morti, alla fine del carnevale è pervaso da un alone di magia e di mistero ed è fortemente caratterizzato da una componente soprannaturale, fatta di contatti e scambi con il mondo dell’aldilà, con una dimensione altra e ignota. Questa situazione ha favorito l’insorgere di pratiche, di interpretazioni, di aspettative e di credenze che coinvolgono diversi tasselli del variegato mosaico della vita quotidiana. Molti sono strettamente legati al giorno e in particolare alla notte di Natale, momento nel quale si ritiene che si verifichino diversi prodigi e si abbiano indizi o si creino i presupposti per la realizzazione di eventi futuri.
Acqua
Nella notte di Natale all’acqua vengono attribuiti poteri particolari e virtù miracolose. La credenza è antica: già negli elenchi delle superstizioni da condannare inviati dai parroci a Carlo Borromeo nel XVI secolo era menzionata quella di Settala in Lombardia, dove si usava «la notte venendo il giorno di Natale avanti il canto de gallo cavar un sedello d’acqua e lavarsi l’occhi». Più di tre secoli dopo l’uso è attestato nel Bergamasco dove l’acqua, attinta recitando alcune orazioni, «alla mezzanotte del Natale, nel momento stesso in cui era servita per lavare il Bambino appena nato, assicurava un lieto parto alle puerpere e faceva figliare il bestiame senza intoppi. S’aspergevano con essa bestiame e graticci, gettando sul fuoco quella che avanzava, perché era sacra. Chi a mezzanotte si tuffava nell’acqua veniva preservato dalla scabbia». Ancora nella prima metà del Novecento alcuni anziani di Balerna, invece di recarsi alla messa di mezzanotte, andavano con un secchio fino a una sorgente ai piedi della vicina collina di Mezzana e, nel momento in cui le campane suonavano, attingevano l’acqua che sgorgava per poi conservarla e utilizzarla durante l’anno per le sue presunte proprietà curative. Secondo alcune testimonianze, l’innamorato che avesse bevuto tre sorsi in nove fontane diverse durante lo scampanio della messa di mezzanotte non doveva più temere di venir rifiutato dalla ragazza desiderata.
A Stabio una leggenda vuole che l’acqua della sorgente dell’Ulcelina si trasformi in vino: quéla l’éva l’Ulcelina, aqua bóna e sustanziusa, inscí frésca ga n’è migna, pö, surgént miraculusa; a la cünta na legénda che la nòcc da Denedaa, tüta l’aqua che gh’è dénta la divénta vin rusaa, quella era l’Ulcelina, acqua buona e sostanziosa, così fresca non ce n’è, poi, sorgente miracolosa; racconta una leggenda che, nella notte di Natale, tutta l’acqua che c’è dentro diventa vino rosato; la nòtt da Natál pròpi a mezanòtt, quand sü in gésa incumincia l’elevazziún e sa regòrda Betlèm, la Madòna e ul Bambinèll che nass, l’aqua la divénta vin... tanti ann sentüü l’udúr da luntán, ma nissügn l’a bagnaa l bécch! E i resún inn dó: prima bisugnava tacá sü la méssa da Natál, pö bisugnava fá i cünt con la Marmanèla, prunta a mandá a quéll paés tütt i curiós, la notte di Natale, proprio a mezzanotte, quando su in chiesa incomincia l’elevazione e si ricordano Betlemme, la Madonna e il Bambinello che nasce, l’acqua diventa vino, tanti hanno sentito l’odore da lontano, ma nessuno ha bagnato il becco! E le ragioni sono due: dapprima bisognava aver terminato la messa di Natale, poi bisognava fare i conti con la Marmanèla (essere fantastico che sorvegliava la fonte), pronta a mandare a quel paese tutti i curiosi.
Vino
È sicuramente un’eco di antiche credenze la convinzione che il vino bevuto nel giorno di Natale si trasformi in altrettanto sangue: el vign ch’a s bév el dí del Bambígn u va in tant sangh (Cugnasco). Si tratta di una superstizione già documentata nel 1500, quando era condivisa pure da alcuni preti, riscontrabile anche in altre località e riferita ad altri giorni dell’anno, spesso a S. Stefano oppure, come nel Poschiavino, al venerdì santo.
Cibo
Si riteneva che quanto veniva consumato durante il pranzo di Natale avesse virtù speciali. Particolarmente diffusa nei territori della Svizzera italiana era la convinzione che i resti del risotto dati alle galline ne condizionassero il comportamento. Ancor oggi in molte famiglie del Sottoceneri è viva l’abitudine, attestata anche in buona parte dell’Italia settentrionale, di conservare un po’ del panettone mangiato a Natale per il giorno di S. Biagio (3 febbraio), nella convinzione che la sua assunzione preserverebbe dal mal di gola. Sulla tavola natalizia si cercava di non far mancare l’uva, di regola bianca, i cui acini numerosi avrebbero richiamato nell’anno a venire, per una sorta di magia simpatica, un’altrettanta abbondanza di denari.
Qualità terapeutiche e apotropaiche sono attribuite all’uovo deposto il giorno di Natale: l’öv faa ul dí da Natál al guariss da tütt i maa, l’uovo fatto il giorno di Natale guarisce da tutti i mali (Chiasso); la credenza era già conosciuta nella Lombardia dell’Ottocento: «l’uovo fatto il giorno di Natale era tenuto in conto di efficacissimo rimedio, ai mali di ventre specialmente, e avevasi per incorruttibile. Onde dalle donnicciuole serbavasi gelosamente». A Como si conservava il grasso dell’oca uccisa per Natale, perché era considerato una vera e propria panacea.
Franco Lurà, «Natale». Estratto dal Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana.
Bellinzona, Centro di dialettologia e di etnografia, 2016.