Le testimonianze e la missione insoluta

Wuhan. Diari da una città chiusa di Fang Fang è una delle tante opere che raccontano cos’è accaduto dall’interno. Ce ne sono altre che lo hanno fatto con le immagini. Ricordiamo Coronation dell’artista dissidente Ai Weiwei (recluso per quasi tre mesi nel 2011 a causa del suo attivismo), un documentario istantaneo della pandemia, 115 minuti di fatti di cronaca dei giorni più drammatici e intensi della prima ondata.

Che dire poi di 76 days di Hao Wu? È incentrato sui mesi di severissimo lockdown di Wuhan, la città dove come detto tutto è cominciato e dove di recente si è conclusa la missione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per il tracciamento dell’origine del virus. Missione che, lo ricordiamo, non ha portato a grandi risultati: non è stata individuata l’origine del virus, non è stato chiarito come la Covid-19 si sia trasmessa dagli animali all’uomo (non è nemmeno tanto chiaro quale sia l’animale «incriminato») e come abbia raggiunto il capoluogo dell’Hubei, dove è emerso per la prima volta in tutta la sua potenza pandemica. Mentre l’ipotesi che si sia trattato di un errore umano, o meglio di una fuga da un laboratorio, è «estremamente improbabile» (tanto che il team di esperti ha raccomandato «di non continuare la ricerca in quella direzione».).

Segnaliamo infine In the Same Breath (Nello stesso respiro), coraggioso documentario del 2021 diretto e prodotto da Nanfu Wang, regista americana di origine cinese che è riuscita a filmare il caos di Wuhan ma che d’altro canto evidenzia le bugie raccontate anche dall’amministrazione del suo Paese, gli Stati uniti, con Trump e le sue teorie in testa.


Wuhan e i suoi misteri

Il diario dell’intellettuale Fang Fang dalla metropoli dove sono stati scoperti i primi focolai di Coronavirus è un documento essenziale per capire il Paese e un implacabile atto d’accusa contro il regime e le sue bugie
/ 22.02.2021
di Federico Rampini

L’evento che ha cambiato la storia del mondo ebbe inizio in una città di cui la stragrande maggioranza degli occidentali ignorava l’esistenza. Capi di Stato stranieri, giornalisti americani o europei, medici e opinionisti dovettero cercare sulle carte geografiche questa sconosciuta: Wuhan. Salvo scoprire che con 11 milioni di abitanti è più grossa di New York.

Per i cinesi non è una delle megalopoli più importanti come Pechino o Shanghai, appartiene alla «seconda fila» delle loro grandi città. Ma ha un profilo storico importante. Le prime tracce di civiltà in quell’area risalgono a 3’500 anni fa, quando da noi al posto dell’antica Roma c’era una palude selvaggia, disabitata, infestata di zanzare da malaria. Nell’VIII secolo prima di Cristo, quando nasce Roma, Wuhan è già una delle città importanti del Regno di Chu. Con un balzo di due millenni, nell’era contemporanea è celebre in Cina per la rivolta del 1911 che fa crollare l’ultima dinastia imperiale, i Qing. Nel 1927 e di nuovo nel 1937, per brevi periodi, Wuhan diventa la capitale provvisoria della Cina sotto il Governo nazionalista del Kuomintang.

Come ricco centro industriale e sede di una delle più grandi case automobilistiche nazionali viene chiamata la «Chicago d’Oriente». In quella regione – lungo il fiume Yangze a metà strada tra Wuhan e Chongqing – sorge uno dei simboli più mostruosi e controversi del decollo economico, un’opera titanica, la Diga delle tre gole che ha sconvolto l’habitat per generare elettricità. Perché Wuhan è una città lontana dal mare ma immersa nelle acque: al crocevia tra due grandi fiumi, lo Yangtze e il suo maggiore affluente, lo Han. Più un’infinità di specchi lacustri. La chiamano anche «la provincia dai mille laghi».

Di questi tempi la bellezza naturale è in secondo piano rispetto alla modernità, allo sviluppo, ai grattacieli, all’inquinamento. Un groviglio di linee ferroviarie ad alta velocità fa sì che da Wuhan si possa raggiungere qualsiasi altra megalopoli cinese in meno di 4 ore. La «Chicago d’Oriente» è uno dei centri su cui punta Xi Jinping per la transizione dall’industria pesante alle tecnologie avanzate. A Wuhan ci sono Politecnici d’eccellenza, centri di ricerca scientifica, tra cui un laboratorio biologico che fa esperimenti sui virus, del quale ormai abbiamo tutti sentito parlare. Quel laboratorio ricevette fino a tempi recenti finanziamenti anche dagli Stati uniti e dalla Francia, sicché il nome di Wuhan non era affatto sconosciuto per i virologi occidentali. Ancora all’inizio della pandemia continuava a esserci un volo nonstop, regolare e quotidiano, da Wuhan a San Francisco.

Con la sua storia antichissima, sede di tante università, Wuhan ha sempre avuto una vita culturale intensa. Oggi la sua intellettuale più famosa è Fang Fang, 65 anni, autrice di romanzi importanti. È una scrittrice autorevole, circondata dal rispetto degli ambienti intellettuali e dei suoi lettori, ma si muove su una frontiera pericolosa: il dissenso moderato, quasi tollerato. In realtà sempre meno tollerato da quando al vertice c’è Xi Jinping. Il regime si accontenta di scatenarle addosso i troll dei social media, un esercito di custodi dell’ortodossia ideologica, a volte giovanissimi, che offendono insultano minacciano.

Per la fortuna dei cinesi e del mondo intero, quello che è accaduto a Wuhan dal gennaio all’aprile 2020 ha avuto Fang Fang come testimone d’eccezione. Segregata in casa come tutti i suoi concittadini nella metropoli-focolaio della Covid, la scrittrice ha tenuto un diario quotidiano. Lo ha pubblicato in tempo reale su uno dei più popolari social media cinesi, la piattaforma Weibo. Ci ha messo tutto: l’orrore per le bugie iniziali del regime che hanno consegnato una città di 11 milioni all’ecatombe, poi il racconto del lockdown severissimo, di fatto una super-quarantena con restrizioni feroci, la reazione della gente, il bilancio finale.

I testi che Fang Fang diffondeva ogni giorno su Weibo sono stati spesso censurati, fino a diventare invisibili. Oggi la strage di Wuhan può sembrare un micro-episodio che si perde nelle nebbie della memoria, un preambolo breve a una vicenda che si è allargata dalla Cina all’Europa alle Americhe. Qualcuno di noi può credere di aver vissuto a Milano o a Bergamo, a Londra o a Parigi, a New York o a Los Angeles, la sua variante locale della storia di Wuhan, perché i lutti e le sofferenze si sono allargati a dismisura nel mondo intero, e tutti quanti abbiamo dovuto sopportare la nostra parte di sacrifici, rinunce, perdite.

Ma non è la stessa cosa. Proprio perché la Covid ebbe inizio in quella metropoli, proprio perché tanti misteri forse avvolgeranno per sempre la genesi della pandemia, proprio perché il regime cinese ha ribaltato in modo spettacolare la situazione, quel che ha scritto Fang Fang rimane un documento storico unico, irripetibile. Ed è certamente una lettura indispensabile per capire la Cina di oggi. Wuhan. Diari da una città chiusa è stato tradotto in diverse lingue e anche in italiano. Fin dalle prime pagine il diario di Fang Fang è un implacabile atto d’accusa verso i governanti cinesi: prima di tutto contro i politici locali, ma via via la sua requisitoria si allarga a livello nazionale. Non risparmia gli scienziati, i medici, alcuni dei quali sottovalutarono il pericolo, sbagliarono le diagnosi, tranquillizzarono la popolazione. Il discorso si allarga a tutto il regime. Fu perso tempo prezioso, nascondendo la verità. Si potevano salvare tante vite a Wuhan, poi nel resto della Cina e nel mondo, se le autorità non avessero insabbiato i primi allarmi, perseguitando anche con gli arresti medici e giornalisti che osavano dire la verità.

«Il virus apparso non è contagioso per le persone». Uno dei protagonisti della menzogna iniziale è un luminare della scienza, il dottor Wang Guangfa, inviato a Wuhan da Pechino, alla guida di una delegazione di medici designati dal Governo. «Sotto controllo», continua a ripetere nei giorni in cui la Covid sta esplodendo. Con il passare del tempo, che sbiadisce i ricordi, si rischia di sottovalutare la differenza tra la Cina e le democrazie, occidentali o asiatiche.

Di fronte al Coronavirus sono stati fatti errori gravi ovunque, a prescindere dal sistema politico o dal partito al Governo. Gli statisti «rispettosi della scienza» come Emmanuel Macron non hanno avuto risultati migliori dei populisti come Donald Trump e Boris Johnson. Alla prova dei vaccini, perfino Angela Merkel e Ursula von der Leyen inizialmente hanno fallito. Ma è Fang Fang a ricordarci la differenza fondamentale che distingue la Cina dagli altri: l’assenza di una libera informazione e di una magistratura indipendente impedisce di mettere a fuoco le responsabilità dei dirigenti comunisti, da Xi Jinping ai suoi emissari locali di Wuhan. L’assenza di libere elezioni toglie ai cittadini cinesi la possibilità di cacciare gli incapaci.

«Non ho mai visto – scrive Fang Fang – una sola persona che si sia presa una responsabilità e abbia presentato le sue scuse». Insieme alla mancanza di una democrazia elettiva, è latitante un’etica della responsabilità. «Vedo solo leader che scaricano le colpe su altri. Ma che razza di società siamo, se chi ha le massime responsabilità di governo non risponde mai dei suoi errori?». Fang Fang non esita a chiamarli «criminali, colpevoli di una catastrofe umana». Dà voce ai sospetti, molto diffusi anche in Cina, secondo cui le cifre ufficiali sul numero di vittime sarebbero ancora oggi inattendibili, truccate, forse molto inferiori alla realtà. Chiede più volte che sia avviata un’inchiesta ufficiale sulle colpe, le menzogne iniziali, le voci zittite con violenza, l’insabbiamento di notizie preziose. La requisitoria dall’interno di Fang Fang è imbarazzante perché smonta il teorema di Xi Jinping sulla superiore efficienza del sistema autoritario cinese.

Xi è convinto che le nostre liberaldemocrazie siano incapaci di rispondere ai bisogni dei cittadini. Il suo modello è un misto di comunismo (nel senso del primato del partito comunista), di paternalismo confuciano (il rispetto delle gerarchie, dell’autorità, l’imperatore come un padre di famiglia), di meritocrazia e di tecnocrazia (fiducia negli esperti al governo). Mentre noi ci illudiamo di selezionare governanti migliori andando in continuazione alle urne, e così creiamo instabilità, Xi è convinto che i suoi governanti siano selezionati attraverso la performance, il risultato. Ma un sistema come quello messo a nudo da Fang Fang, dove gli errori vengono nascosti, i colpevoli assolti, non è affatto una garanzia di performance.