Virus sfuggito dal laboratorio?

Come mai sta tornando in auge una teoria finora tacciata di complottismo. Il ruolo della EcoHealth alliance che finanzia progetti sulla diffusione di nuove malattie anche in Cina
/ 07.06.2021
di Irene Peroni

A più di tredici mesi da quando la Covid-19 fu dichiarata ufficialmente pandemia dall’Organizzazione mondiale della sanità, sta prendendo piede l’ipotesi, finora tacciata di complottismo, che il Coronavirus possa essere uscito per errore dal laboratorio di Wuhan. Il presidente degli Stati uniti, Joe Biden, ha fatto appello ai servizi segreti affinché moltiplichino gli sforzi per novanta giorni con l’obiettivo di fare finalmente chiarezza sulle origini del virus che ha già causato più di tre milioni e mezzo di morti. Le sue parole seguono un recente rapporto dell’intelligence statunitense citato dal «Wall Street Journal», secondo il quale tre ricercatori del laboratorio di virologia di Wuhan sarebbero finiti in ospedale già a novembre 2019. I loro sintomi sarebbero stati compatibili «sia con la Covid-19 che con una semplice influenza stagionale».

La reazione della Cina alle parole di Biden non si è fatta attendere. «Gli Stati uniti non si preoccupano affatto dei fatti o della verità, né sono interessati a un serio studio scientifico sulle origini del virus», ha dichiarato il portavoce del Ministero degli esteri cinese durante una conferenza stampa a Pechino. Eppure, malgrado lo si sia cercato ormai per più di un anno, l’animale che avrebbe fatto da trait d’union tra pipistrello e uomo non è mai stato trovato. Dunque ora è lo stesso mondo scientifico a cambiare rotta e a chiedere ulteriori indagini: diciotto scienziati di fama internazionale hanno di recente firmato un appello sulla rivista «Science». «Le teorie di una fuoriuscita accidentale da un laboratorio o di un salto di specie rimangono entrambe valide», scrivono. «Sapere come sia emersa la pandemia di Covid-19 è però fondamentale per adeguare strategie globali, capaci di mitigare i rischi di future epidemie».

A dire il vero, allo scoppio della pandemia sia Donald Trump, allora in carica alla Casa Bianca, sia il suo segretario di Stato Mike Pompeo, avevano dichiarato senza mezzi termini i propri sospetti nei confronti dei cinesi. Trump aveva parlato di un possibile «errore di laboratorio». Pompeo aveva addirittura sostenuto che ci fossero «prove massicce» in tal senso. Ma le affermazioni del presidente Usa, già nell’occhio del ciclone per il pressappochismo con cui stava affrontando la crisi sanitaria, rimasero pressoché inascoltate.
Per poter affrontare l’ipotesi della fuga dal laboratorio bisogna spiegare il concetto di gain of function («guadagno di funzione», spesso abbreviato in Gof). Gli esperimenti di Gof servono a potenziare i virus attraverso manipolazioni genetiche. Lo scopo è quello di individuare quelli più pericolosi per l’uomo e imparare a combatterli.

Nonostante l’Istituto di virologia di Wuhan fosse noto per i suoi esperimenti di Gof sui virus dei pipistrelli, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), appoggiata da molti scienziati, sposò inizialmente l’ipotesi del mercato del pesce. Ipotesi ormai crollata: alcuni casi di Covid-19 erano stati riscontrati già prima che il mercato si trasformasse in un focolaio d’infezione. Ma su cosa si basava l’assunto che il virus fosse di origine naturale e perché questa affermazione è rimasta pressoché indiscussa fino a pochi giorni fa? Il 19 febbraio 2020, appena otto giorni dopo l’annuncio da parte dell’Oms che il Sars-Cov-2 poteva rappresentare una minaccia più grave di quella del terrorismo, «Lancet» pubblica una lettera dal tono perentorio, firmata da 27 scienziati di grosso calibro a sostegno dei colleghi cinesi.

«Siamo uniti nel condannare fermamente le teorie complottistiche che suggeriscono un’origine non naturale della Covid-19. Scienziati di più Paesi (…) concludono in modo schiacciante che questo Coronavirus, così come tanti altri patogeni emergenti, ha avuto origine nella fauna selvatica». All’epoca nessuno sapeva che l’iniziativa della lettera fosse di Peter Daszak, zoologo e presidente di una Ong chiamata EcoHealth alliance. E tantomeno che quest’ultima, la cui sede è a New York, fosse legata alle ricerche sui virus dei pipistrelli condotte in Cina.
EcoHealth alliance finanzia una cinquantina di progetti sull’emergenza e la diffusione di nuove malattie in tutto il mondo. Uno di questi progetti fa capo al laboratorio di virologia di Wuhan, che ha tra l’altro ricevuto cospicui fondi dagli Usa tra il 2014 e il 2019. Si tratta di denaro proveniente dal National institute of allergy and infectious diseases (Niaid), agenzia governativa che si occupa di malattie infettive. A capo del Niaid c’è un personaggio noto a tutti: Anthony Fauci, l’immunologo che ha fatto da consigliere medico prima a Trump e poi a Biden per tutta la durata della pandemia.

Lo scopo del progetto era evitare che uno di quei virus di pipistrello, capaci di passare dagli animali all’uomo, potesse diventare pandemico. Come ha spiegato lo stesso Daszak durante un’intervista filmata a dicembre 2019, dunque poco prima dello scoppio della crisi, «i Coronavirus sono piuttosto facili da manipolare». La capacità di saltare da una specie all’altra dipenderebbe proprio dalla proteina spike, prosegue Daszak. Dunque, per prevedere questo potenziale salto di specie, «inseriamo (la proteina spike) nella struttura di un altro virus e facciamo un po’ di lavoro in laboratorio». Daszak poi spiega che a questi esperimenti partecipava un eminente scienziato americano: Ralph Baric, professore presso la University of North Carolina e massimo esperto mondiale di Gof. Sia Baric che Daszak hanno collaborato e firmato studi insieme alla cinese Zheng-Li Shi, direttrice del Centro per le malattie infettive emergenti presso il laboratorio di virologia di Wuhan. Shi, soprannominata «bat woman» dagli stessi cinesi, dirigeva gli studi dei Coronavirus sui pipistrelli e faceva molto lavoro sul campo, entrando nelle grotte più impervie per raccogliere campioni di guano.

Anche Baric e Daszak erano in contatto. Nel lanciare l’idea della lettera per «Lancet» a sostegno dei ricercatori cinesi, Daszak inizialmente non voleva apporre il proprio nome né quello della EcoHealth alliance per paura che ciò risultasse «controproducente». La discussione sulle firme emerge da un’indagine svolta dal gruppo investigativo no profit Us right to know, che ha reso noto lo scambio di e-mail originale. Dei due sarà solo Daszak a firmare, ma non come autore principale. Ma il ruolo di Daszak non finisce qui: nonostante il palese conflitto di interessi, viene infatti scelto come membro della task force dell’Organizzazione mondiale della sanità che si reca in Cina a febbraio 2021 per indagare sulle origini della Covid-19. Paradossale, visto che il progetto di Wuhan, di cui lui stesso faceva parte in quanto scienziato, era stato finanziato attraverso la sua Ong. Ma la Cina aveva rivendicato e ottenuto il potere di veto sui membri del team, condizionandone la scelta.
Qualora si dimostrasse che il virus sia realmente uscito dal laboratorio di Wuhan, sarà difficile accettare che la ricerca che lo ha prodotto è stata finanziata dai contribuenti americani.