Un anziano ex cardinale arcivescovo di Washington spretato dopo che, per anni, le accuse di molestie presentate da numerosi seminaristi nei suoi confronti erano state volutamente ignorate. Un vertice di quattro giorni in Vaticano con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo per discutere la questione degli abusi sessuali commessi dal clero. Svoltosi, però, mentre fuori dai Sacri Palazzi le vittime di quelle violenze protestavano contro una «tolleranza zero» a loro avviso più enunciata che praticata realmente dalla Chiesa cattolica. Infine lo shock della condanna per pedofilia inflitta da un tribunale australiano al cardinale George Pell, che papa Francesco aveva voluto in Vaticano alla guida del dicastero per l’economia della Santa Sede. Reato che sarebbe stato commesso ormai più di vent’anni fa a Melbourne, ma che l’imputato anche dopo la sentenza dal carcere continua a negare proclamandosi innocente.
Sarebbe difficile immaginare per papa Francesco uno scenario più critico di quello che si è trovato a fronteggiare in queste settimane sul fronte delle accuse di pedofilia nei confronti di uomini di Chiesa. La nuova ondata di questa bufera che da vent’anni ormai periodicamente torna a scuotere il Vaticano era partita in estate dagli Stati Uniti, proprio l’epicentro del primo grande scandalo venuto a galla a inizio anni Duemila nell’arcidiocesi di Boston. In agosto vi era stato il rapporto della Corte Suprema della Pennsylvania con le accuse a oltre 300 sacerdoti che – dal 1945 a oggi – avrebbero abusato di più di mille minori.
Ancora più clamorosa – anche per le sue modalità – era stata poi l’esplosione del caso del cardinale Theodore McCarrick, l’ex arcivescovo di Washington ormai ottantottenne, pubblicamente accusato dall’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò di aver a lungo condotto una doppia vita, approfittando del proprio ruolo per abusare sessualmente di alcuni seminaristi. Accusa che l’ex diplomatico allargava alle coperture di cui McCarrick avrebbe goduto non solo negli Usa ma anche in Vaticano, chiamando in causa personalmente lo stesso Pontefice.
Il tutto mentre in Cile rimane pesante l’eredità del caso Karadima, influente sacerdote di Santiago anche in questo caso coperto dai vescovi locali che avevano insabbiato le denunce sporte contro di lui dalle sue vittime. E in Francia il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, è alla sbarra per la gestione imprudente del caso di un sacerdote della diocesi, oggi anziano, accusato anni fa di pedofilia. Per non parlare poi dell’India, dove si è aperto un fronte diverso ma non meno imbarazzante per la Chiesa cattolica: una denuncia di una suora nei confronti del vescovo di Jalandhar, Franco Mulakkal, ha scoperchiato il vaso di Pandora sul tema delle violenze nei confronti delle religiose, aprendo la strada a una versione tutta cattolica del fenomeno #metoo.
È di fronte a questo scenario che papa Francesco ha deciso di convocare a Roma i vertici delle 113 Conferenze episcopali in cui si articola nel mondo la presenza della Chiesa cattolica. Annunciato ormai da mesi, l’incontro si è svolto dal 21 al 24 febbraio in Vaticano e proprio per dare un segno tangibile della volontà di affrontare sul serio il problema è stato preceduto dal provvedimento della dimissione dallo stato clericale del cardinale McCarrick. Sarebbe ingeneroso definire come il «solito convegno ecclesiastico» il summit presieduto dal Pontefice. La scelta di portare la questione apertamente sotto i riflettori in Vaticano è stato un cambio di passo notevole, che dice la consapevolezza di una questione che non viene più liquidata al rango di «poche mele marce» ma chiama in causa le responsabilità della Chiesa intera.
Anche far aprire i lavori a una serie di video-denunce di alcune vittime – tra cui una donna africana che ha raccontato di essere stata costretta per ben tre volte ad abortire da un sacerdote che per anni l’ha violentata – è stato un gesto coraggioso, che ha indicato la strada dell’ascolto delle vittime come il punto di partenza in ogni situazione. Le stesse parole di papa Francesco sono state molto nette: finiti i tempi della difesa in trincea e del complottismo, Bergoglio ha spinto la Chiesa ad assumersi le sue responsabilità. Ha invitato ogni Conferenza episcopale a collaborare con le autorità civili nelle indagini, a dotarsi di strutture precise a cui rivolgersi per le accuse e la protezione delle vittime, a elaborare protocolli più efficaci per la prevenzione della pedofilia nelle strutture pastorali dove sono presenti i minori. Annunciando anche che da Roma arriveranno nelle prossime settimane nuove norme canoniche perché questa diventi davvero la strada per tutti.
Al di là della discussione sull’efficacia concreta delle dichiarazioni d’intenti e delle regole sullo scandalo pedofilia resta però l’impressione di un grande macigno estremamente difficile per la Chiesa da maneggiare. Il summit è stato una buon momento di ricognizione delle sue proporzioni con l’indicazione degli interventi più urgenti per la messa in sicurezza di alcune aree. Ma questo basta davvero?
Durante il confronto in Vaticano papa Francesco ha citato i documenti e i metodi suggeriti dalle Nazioni Unite per fronteggiare la piaga degli abusi sessuali e ha chiesto un maggiore coinvolgimento dei laici (e delle donne in particolare) nell’esame delle accuse rivolte contro i sacerdoti. Ha ribadito quella che è la sua lettura del fenomeno: la pedofilia nella Chiesa è una degenerazione estrema del clericalismo, cioè sostanzialmente un abuso di potere. Ma deve fronteggiare le bordate dell’ala più tradizionalista che vorrebbe ricomporre tutto nell’ecclesiasticamente più rassicurante schema secondo cui sarebbe tutta colpa dell’omosessualità, lasciata dilagare all’interno dei Sacri Palazzi. Dunque – secondo questi ambienti molto agguerriti anche all’interno della blogosfera cattolica – si tratterebbe solo di «fare pulizia». Anche se poi sarebbe interessante capire che cosa questo voglia dire, dal momento che lo scandalo pedofilia attraversa in maniera trasversale le diverse «correnti» nella Chiesa; anche negli ambienti che più predicano il rigore nella morale sessuale sono esplosi scandali clamorosi su abusi durati decenni (vedi ad esempio il caso del messicano padre Marcial Maciel, fondatore della congregazione dei Legionari di Cristo, potentissimo anche in Vaticano ai tempi di Giovanni Paolo II).
Il punto sta proprio qui: si può ragionare realmente dello scandalo pedofilia nella Chiesa senza mettere in discussione tutta la questione della dimensione affettiva nella vita del prete? Se così tante volte, da una parte all’altra del mondo, emerge un problema talmente serio da sfociare in comportamenti criminali, non è che va ripensato alla radice il modello su cui tuttora si fondano i seminari, le parrocchie, lo stesso esercizio del ministero sacerdotale nella Chiesa di oggi?
Sullo scandalo pedofilia oggi si gioca il Pontificato di Francesco. E il caso del cardinale Pell è uno scoglio particolarmente problematico. Oggi c’è un cardinale elettore in un potenziale futuro conclave che si trova in carcere in Australia. Ed è un cardinale di posizioni tradizionaliste che una parte del mondo cattolico considera già un eroe ingiustamente condannato perché nel processo, tenuto a porta chiuse, la principale vittima non ha potuto testimoniare essendo morto per overdose anni dopo le presunte violenze. Alla luce di tutto questo, i princìpi enunciati in un vertice Francesco è chiamato ora a declinarli in una vicenda concreta, ben più difficile da dipanare rispetto a quella di McCarrick.
Che cosa vuol dire in questo caso ascoltare le famiglie delle vittime e collaborare con la giustizia? Ha davanti la strada stretta di una trasparenza assoluta, Bergoglio, ma la deve percorrere in un clima avvelenato da lentezze e reticenze di un passato ancora molto presente. Uno dei gesti più forti dell’incontro tenuto coi vescovi in Vaticano è stata una liturgia penitenziale comune; l’impressione è che anche per papa Francesco, come per il suo predecessore, su questo tema degli abusi sessuali nella Chiesa l’esame di coscienza pubblico sia destinato a durare ancora a lungo.