Verso una stretta sull’immigrazione

Gli arrivi, in forte aumento, preoccupano le autorità britanniche che cercano di correre ai ripari adottando misure controverse
/ 14.11.2022
di Barbara Gallino

Altro che sovranità sui confini. Lo slogan «Riprendiamo il controllo!», che aveva convinto tanti sudditi di Sua Maestà a votare a favore dell’uscita del Regno Unito dalla Ue al referendum del 2016, ha avuto un effetto boomerang. Almeno per quanto riguarda gli sbarchi di migranti in arrivo attraverso il Canale della Manica. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’interno britannico, nel 2022 quasi 40mila persone hanno rischiato la vita per raggiungere le coste della Gran Bretagna a bordo di gommoni e natanti di fortuna. E il numero è destinato a salire ulteriormente visto che l’anno non è ancora concluso. Si tratta della cifra più elevata da quando nel 2018 è iniziata la raccolta ufficiale di questo tipo di dati. Per fare un confronto, nel 2021 i migranti approdati sulle spiagge britanniche erano 28’526 e nel 2020 – anche per effetto della pandemia – erano solo 8’404. Mentre negli anni precedenti, e dunque prima di Brexit, i dati degli sbarchi erano molto più contenuti.

Nelle scorse settimane un parlamentare inglese ha denunciato le disumane condizioni di sovraffollamento in cui si trovavano i migranti presso il centro di prima accoglienza di Manston, una struttura di smistamento situata nel Kent, costruita per ospitare non più di 1’600 persone per un massimo di 24 ore. Peccato che di fatto vi alloggiassero oltre 4mila profughi, alcuni dei quali rinchiusi lì dentro da oltre un mese. La ministra dell’Interno Suella Braverman, accusata di avere ignorato la segnalazione, si è difesa alla Camera dei Comuni, parlando di una vera e propria «invasione» della costa meridionale dell’isola e dicendosi determinata a prendere di petto una situazione che costa ai contribuenti britannici 6,8 milioni di sterline al giorno solo per alloggiare i richiedenti l’asilo in alberghi e altre strutture private. Senza contare la difficoltà di trovare una sistemazione per così tante persone in tempi molto ristretti. Secondo i dati pubblicati dal Governo, nei 12 mesi fino a giugno di quest’anno, ci sono state oltre 60mila richieste di asilo, ovvero un’impennata di oltre il 77% rispetto al 2019, la metà delle quali provenienti proprio da profughi giunti a bordo di barconi. Si tratta di migranti originari per lo più dell’Afghanistan, Iran, Iraq, Siria ed Eritrea, anche se nel 2022 c’è stata una vera e propria ondata di arrivi dall’Albania: circa 12mila, dei quali 10mila erano uomini soli.

Sono numeri che preoccupano le autorità britanniche, perché – secondo quanto riferito alla Commissione affari interni dal Comandante Dan O’Mahoney, deputato alla sorveglianza sull’immigrazione clandestina proveniente dalla Manica – molti albanesi affrontano il viaggio non per chiedere l’asilo, ma per darsi alla macchia non appena sbarcati e lavorare illegalmente nel Regno. Diversi di loro finiscono nelle maglie della criminalità, tanto che la nazionalità prevalente dei delinquenti stranieri rispediti dal Regno Unito nel Paese d’origine, nei 12 mesi antecedenti marzo di quest’anno, è albanese. Il traffico dei migranti in partenza dal nord della Francia, inoltre, sarebbe ormai gestito prevalentemente da gang criminali albanesi. Piccata a riguardo la risposta di Tirana. «Il Regno Unito dovrebbe combattere le gang criminali di tutte le nazionalità e smetterla di discriminare gli albanesi per giustificare le sue politiche fallimentari», ha scritto in un recente tweet il primo ministro albanese Edi Rama.

Intanto, un recente sondaggio del domenicale «Observer» ha rivelato che per la stragrande maggioranza dei britannici la Gran Bretagna non ha riacquisito l’agognato controllo delle proprie frontiere dopo Brexit. I più delusi sarebbero proprio coloro che avevano votato per uscire dall’Ue: per l’85% dei leavers «Riprendiamo il controllo!» infatti è ancora un miraggio. Rishi Sunak ha un’impresa difficile davanti a sé. Il neo premier conservatore, oltre a dover stabilizzare l’economia britannica travolta dalla tempesta finanziaria scatenata dal fallito esperimento di Governo di Liz Truss, deve pure mettere ordine al caos immigrazione, considerata una missione prioritaria dell’agenda politica Tory. Tuttavia le sue prime mosse per ora si sono rivelate un po’ avventate: dal reintegro della controversa Suella Braverman alla guida del Ministero dell’interno dopo che si era dimessa dal Governo Truss per uso improprio della mail personale impiegata per l’invio di documenti ufficiali; alla nomina di Dominic Raab al Ministero della giustizia nonostante i trascorsi poco brillanti dello stesso proprio come ex Guardasigilli nel Governo Johnson. Con Raab è stato pure riesumato il suo criticato «Bill of Rights Bill», un disegno di legge che punta ad affermare la supremazia della Corte suprema britannica rispetto alla Corte europea dei diritti umani. Lo scopo? Consentire al Regno Unito di ignorare le disposizioni della Convenzione europea dei diritti umani che interferiscono con la sua politica immigratoria, com’era successo lo scorso giugno quando il Governo britannico aveva dovuto sospendere, su richiesta di Strasburgo, il contestato piano di trasferimenti in Ruanda di alcuni immigrati illegali ancora in attesa di risposta sulla domanda d’asilo.

Fruttuoso, invece, è stato il primo incontro in veste di premier di Sunak con il presidente francese Emmanuel Macron, avvenuto a margine della Conferenza sul clima in Egitto (Cop27), e foriero di «rinnovata fiducia e ottimismo» in merito alla cooperazione con i partner europei per fermare l’immigrazione illegale. Fonti di Downing Street hanno infatti confermato che Londra e Parigi stanno finalizzando un accordo del valore di 80 milioni di sterline per bloccare o quanto meno ridurre sostanzialmente gli arrivi di migranti attraverso il Canale della Manica. Oltre a incrementare il pattugliamento delle coste francesi, l’accordo consentirà di finanziare l’acquisizione di apparecchiature di sorveglianza per intercettare i barconi ancor prima che entrino nell’acqua, permettendo agli agenti di frontiera britannici di lavorare al fianco dei loro omologhi francesi in loco, per acquisire così informazioni dirette sul movimento e il traffico dei migranti in partenza dall’Esagono.