Vaccini, chi non li ha li vuole

In America latina le dosi non arrivano, aumentano contagi e decessi mentre ci sono Governi che negano il problema. Tra le categorie più in difficoltà troviamo gli anziani: in moltissimi non hanno accesso alle cure e soffrono la fame
/ 13.09.2021
di Angela Nocioni

In America latina, continente più funestato di altri nel mondo dall’epidemia di Covid-19, la polemica no vax non prende quota. Troppo difficile è ancora l’accesso alla possibilità di vaccinarsi. Più dei due terzi delle persone che vivono lì non sono ancora immunizzate e la parte maggioritaria di chi è vaccinato ha ricevuto solo la prima dose. Riuscire a farsi la prima iniezione è un obiettivo irraggiungibile per moltissime persone. Non ci sono abbastanza dosi per tutti. Chissà sia questa la ragione per cui il 70% della popolazione, stando ai dati di un’inchiesta appena realizzata dal Centro di statistiche sociali dell’Università del Maryland, vuole a tutti i costi vaccinarsi. L’esportazione degli argomenti usati in Europa dai contrari al vaccino è risultata difficoltosa a chi, soprattutto via social, l’ha tentata. È talmente complicata la realizzazione completa di una campagna di vaccinazione di massa che non risulta avere molto ossigeno la polemica che la demonizza.

Il vaccino non arriva, ne arrivano poche dosi e in pochi Paesi. Solo pochi Governi sono riusciti a procurarsi in tempo contratti per forniture abbondanti quando ancora l’offerta era scarsa. Honduras, Bolivia e Guatemala non riescono ad assicurarsi una fornitura regolare e sufficiente nemmeno a iniziare una efficace campagna sanitaria di immunizzazione. Secondo i dati ufficiali, il Brasile di Bolsonaro continua a essere il Paese con il più alto numero di casi di contagio sintomatico registrato. Più di ventun milioni di casi confermati. L’Argentina è al secondo posto, con oltre 5 milioni di infettati e oltre centomila morti accertati. Messico al terzo con tre milioni e duecentomila casi. Seguono Colombia con cinque milioni di casi secondo i dati aggiornati al primo fine settimana di settembre. Poi Perù, Cile ed Ecuador. Le cifre sono, come sempre, da prendere con le pinze perché i sistemi sanitari sono così diversi l’uno dall’altro e l’accesso alle cure mediche così diseguale che è impossibile stabilire se i numeri relativamente bassi di contagi di alcuni Paesi sono tali perché davvero i casi sono pochi o se sono tali perché l’estensione dell’epidemia non è stata ben monitorata.

La scorsa settimana, ad esempio, l’ong Medici uniti del Venezuela (Muv) ha denunciato l’enorme rischio che lì la variante Delta del virus mieta moltissimi morti perché, assicurano i medici del Muv, «meno del 3% della popolazione è vaccinata». Non esistono dati attendibili in Nicaragua, dove la dittatura di fatto del presidente Daniel Ortega nega semplicemente l’esistenza del virus nel Paese e le morti in ospedale non sono mai ritenute causate dal Coronavirus, non ufficialmente perlomeno. Un’indagine condotta in cinque Paesi dell’America latina dall’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, e da Helpage international, un gruppo di organizzazioni che assistono gli anziani, racconta come la pandemia stia peggiorando la situazione degli sfollati anziani, rendendo ancora più difficile per loro soddisfare i bisogni più elementari.

«Le persone anziane costrette a fuggire si trovano di fronte a sistemi di assistenza assolutamente insufficienti», ha detto José Samaniego, direttore dell’ufficio regionale dell’Unhcr per le Americhe, che ha realizzato l’indagine in Colombia, Ecuador, El Salvador, Honduras e Perù. «La piena inclusione dei vecchi nelle risposte nazionali alla pandemia è fondamentale per salvaguardare la loro dignità e i loro diritti».Circa il 64% degli intervistati ha riferito che non aveva una fonte stabile di reddito prima della pandemia e che il Coronavirus ha ulteriormente aggravato le loro difficoltà economiche, lasciando disoccupati la metà di coloro che avevano un lavoro nella regione andina, mentre un terzo degli intervistati precedentemente occupati in Honduras ed El Salvador sono rimasti senza lavoro a causa dei lockdown. Un intervistato su quattro ha detto che doveva saltare i pasti già prima della pandemia, ma il 41% degli intervistati ha riferito di aver dovuto ridurre ulteriormente l’assunzione giornaliera di cibo nell’ultimo anno.

La pandemia ha anche inciso sulla capacità dei rifugiati e dei migranti più anziani di ricevere l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno. Il 42% degli intervistati ha dichiarato di non ricevere cure per malattie preesistenti. Il Coronavirus ha anche avuto conseguenze sulla salute mentale degli anziani. Solo il 26 per cento degli intervistati ha riferito di essere in contatto quotidiano con i membri della famiglia il che ha, a sua volta, portato a un aumento significativo della sensazione di isolamento e solitudine. Secondo un’informativa del Fondo globale, la pandemia di Covid ha causato un rallentamento fortissimo nella cura e nella diagnosi di casi di infezione da Hiv, malaria e tubercolosi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e anche in America latina. Dice Peter Sands, direttore esecutivo dell’organizzazione che è l’organismo principale di finanziamento delle campagne sanitarie contro queste tre malattie: «La pandemia è stata nell’ultimo anno il peggior ostacolo contro la cura di queste infezioni perché ha enormemente aumentato le disparità sociali e la possibilità di avere accesso alle cure, perché ha attratto i finanziamenti e ha aumentato la percentuale di rischio per le persone vulnerabili».