I «misteri cinesi» attorno al Coronavirus non sono finiti neanche oggi. Un’amica imprenditrice, europea, che vive e lavora nella ricca regione del Guandong, mi scrive il suo grido di dolore sulla «assurdità della condizione in cui viviamo in Cina da mesi, la Covid qui non c’è da oltre un anno, la vita scorre normale, l’economia e le attività sono ripartite, eppure tutti gli espatriati vivono in una gabbia da cui è impossibile uscire anche a causa di procedure per il rientro assurde. Neppure con Hong Kong hanno allentato le misure, anzi sono ulteriormente irrigidite in questi giorni». Dopo aver stravinto la prima puntata della sfida, cioè il contenimento, la Cina arranca nelle vaccinazioni dove il sorpasso americano è clamoroso. I dati sono eloquenti. Negli Stati uniti si supera il 50% della popolazione vaccinata, mentre in Cina solo il 16% degli abitanti ha ricevuto l’inoculazione. La percentuale cinese è metà di quella europea. Il ritardo, evidente, contraddice quella «diplomazia dei vaccini» con cui Pechino voleva fare un uso geopolitico della sua capacità d’immunizzare. Come si spiega?
La mia amica imprenditrice, come tutti coloro che vivono in Cina, accenna a misteriose dietrologie. Il suo sfogo a distanza prosegue così: «Se la Cina volesse vaccinare, credi che non sarebbe in grado di farlo? Chi meglio di lei può imporre una vaccinazione di massa, a tappeto? Nel giro di un mese vaccinano tutti se vogliono le autorità, così come hanno fatto con il lockdown a febbraio 2020. E poi perché non riaprono ancora il traffico con Hong Kong? L’hanno punita abbastanza. Non riapriranno mai al mondo se non partono prima da Hong Kong. Sono incartati al mantra tolleranza zero: un Paese che ha paura il minimo rischio».
Questa manager europea si è «sinizzata», nel senso della paranoia che è tipica di chi vive sotto un regime autoritario. È normale, e assai diffuso attribuire al regime una capacità di controllo ancora superiore a quella che ha. Ma dall’inizio della pandemia stiamo accumulando una mole di prove che dimostrano quanto il regime cinese possa sbagliare. No, non riesce a pianificare e manipolare tutto. A volte gli incidenti lo colgono impreparato e lo mandano in tilt. Dobbiamo rivisitare l’intera gestione cinese della pandemia: è un tema che ci riguarda tutti e sul quale non finiremo mai di fare nuove scoperte. Cominciando dalle bugie iniziali, per le quali il mondo intero ha pagato un prezzo altissimo, bisogna diffidare delle teorie del complotto troppo perfette, troppo diaboliche. Ad aver causato gli errori del Partito comunista cinese c’è il riflesso condizionato del Partito-Stato di fronte a un imprevisto che potrebbe compromettere l’armonia sociale.
Altra lezione: non esageriamo il ruolo del Grande fratello cinese, la tecnologia fu abbastanza marginale per un controllo sociale che nei lockdown fu affidato alla mobilitazione umana, un esercito di volontari, comitati di quartiere, insomma la vecchia macchina comunista. Il Grande fratello, come scrive l’ex corrispondente di «la Repubblica» a Pechino Filippo Santelli che fu sottoposto a una dura quarantena, «dov’era quando sarebbe servito?» Le app sanitarie made in China sono state altrettanto inefficaci di quelle sperimentate in diversi Paesi occidentali. L’insistenza di Xi Jinping sui benefici della medicina tradizionale cinese lascia intravedere una classe dirigente che alterna la fiducia nella scienza a una propaganda nazionalista pericolosa. Sui vaccini, dunque, non credo che la Cina stia rallentando la campagna d’inoculazione di massa per qualche scopo deliberato. Ha dei problemi a monte, cioè nella produzione; e a valle, nella percezione su efficacia e sicurezza dei suoi prodotti. È noto che i vaccini cinesi non hanno fornito la stessa trasparenza sui test clinici rispetto ai concorrenti occidentali.
Problemi simili però stanno affliggendo gli altri «primi della classe» in Estremo Oriente, che non hanno regimi autoritari. Mi riferisco alle democrazie del Giappone, Corea del sud, Taiwan. Questi Paesi sono stati di un’efficacia ammirevole nel contenere il contagio dall’inizio (senza ricorrere a veri lockdown), tant’è che i loro tassi di mortalità da Covid sono microscopici rispetto al resto del mondo. Ora però sono molto indietro nelle vaccinazioni, anche perché non hanno una produzione propria, dipendono soprattutto da forniture americane. In parte il loro ritardo è scusabile: chi ha contenuto il contagio fin dall’inizio e lo mantiene molto basso senza usare metodi farmacologici, non ha la pressione dell’urgenza di vaccinare la popolazione. E i cittadini possono sentirsi già abbastanza al sicuro da prendersela con calma.
Il «troppo successo» però può avere degli effetti collaterali indesiderati. Lo si vede con le Olimpiadi in Giappone. Da un lato Tokyo è costretta a mantenere le frontiere chiuse ai visitatori stranieri e questo riduce il beneficio economico dell’evento sportivo. D’altro lato fra gli stessi giapponesi continuano le polemiche sulla sicurezza sanitaria dell’evento. Il fatto di essere indietro nelle vaccinazioni genera paure su quel che potrebbe accadere con i raduni di massa, sia pure fra spettatori solo giapponesi. Anche Taiwan è costretta a mantenere rigidi controlli alle frontiere, pur essendo stata la prima ad «avvistare» la Covid (nel dicembre 2019) e avendo una mortalità vicina a zero. Ora questi Paesi rischiano di pagare qualche prezzo sul fronte della ripresa economica.
L’America brucia le tappe del suo ritorno alla normalità, con riaperture generalizzate di ogni attività, e gesti simbolico-pedagogici come la «liberatoria dalle mascherine», annunciata dall’autorità sanitaria per chi è vaccinato. Sono tanti i segnali di una ripresa economica Usa che a fine anno potrebbe sorpassare in velocità perfino quella cinese. La lezione è interessante: chi ha vinto il primo round contro la Covid, può anche perdere il secondo, e viceversa. Le sconfitte a qualcosa servono, talvolta. Basta pensare a una delle ragioni per cui Taiwan, Corea del sud e Giappone sono stati i «primi della classe» nel bloccare il contagio. La spiegazione più convincente risale a 18 anni fa. Quegli stessi Paesi furono vittime di un’altra grave menzogna del regime cinese nel 2003 all’epoca della Sars. Si attrezzarono con sistemi di allerta precoce, per difendersi dalle bugie di Pechino. Misero in piedi delle procedure di cui abbiamo visto la straordinaria efficacia. L’Occidente fu colpito marginalmente dalla Sars e perciò ha dormito sonni tranquilli, nei 18 anni in cui le democrazie confuciane con tenacia e lungimiranza si preparavano alla pandemia. Lo shock euro-americano del 2020 però ha accelerato la performance incredibile della scoperta dei nuovi vaccini. A ciascuno la sua lezione e la sua capacità di apprendimento.
Vaccinazioni a rilento in Asia
Come mai la Cina ma anche il Giappone, la Corea del sud e Taiwan stanno accumulando ritardi? Il rischio è di pagare lo scotto in termini di crescita economica e di perdere terreno rispetto agli Stati uniti
/ 24.05.2021
di Federico Rampini
di Federico Rampini