Abbandono del nucleare: finora 1 sì e 6 no

Sull’energia nucleare, gli Svizzeri si sono già pronunciati sette volte. L’unico sì risale al 1990, quando venne approvata l’iniziativa per una moratoria di dieci anni sulla costruzione di centrali atomiche. Lanciata dopo la catastrofe di Tchernobyl (1986), l’iniziativa ottenne il 55% delle preferenze, nonostante l’opposizione di governo e parlamento. Nella stessa occasione, con il 53% di no venne però respinta l’iniziativa socialista che chiedeva l’abbandono progressivo dell’energia nucleare.

Nel 2003, i cittadini bocciarono (maggioranza del 58%) di prorogare di 10 anni la moratoria nucleare e di limitare a 40 anni la durata di sfruttamento delle centrali. Parallelamente, il 66% dei votanti respinse un’iniziativa che chiedeva lo spegnimento di Beznau 1 e 2, come pure di Mühleberg, entro il 2005, Gösgen nel 2009 e Leibstadt nel 2014.

Negli anni Ottanta, su questo tema, gli Svizzeri vennero chiamati alle urne tre volte. La prima iniziativa sul nucleare venne respinta di misura nel 1979 da una maggioranza risicata del 51%. Gli avversari della progettata centrale di Kaiseraugst (abbandonata nel 1988) chiedevano che la popolazione potesse pronunciarsi sulla costruzione di centrali atomiche.  

Infine, nel 1984, i cittadini respinsero, con una maggioranza del 55%, l’iniziativa «per un futuro senza centrali nucleari» e, con il 54%, quella «per un approvvigionamento energetico sicuro, economico ed ecologico», che proponeva di favorire le energie rinnovabili, in particolare tassando gli altri agenti energetici. Allora, i promotori ritenevano che con l’accettazione della loro iniziativa e di quella antinucleare si sarebbe ottenuta, verso il 2000, una riduzione del consumo di corrente elettrica e di petrolio. (AC) 


Uscire dal nucleare, ma con quali tempi?

Votazione federale del 27 novembre: l’iniziativa popolare lanciata dai Verdi anticiperebbe la chiusura delle cinque centrali atomiche, tre delle quali dovrebbero essere spente nel 2017 - Governo e parlamento la respingono
/ 14.11.2016
di Alessandro Carli

«Energia nucleare? No grazie», recitava uno slogan degli avversari di questa tecnologia per la produzione di corrente elettrica, slogan che ha finito per imporsi in Svizzera sull’onda delle emozioni suscitate dal disastro di Fukushima Dai-ichi, conseguente allo tsunami dell’11 marzo 2011. Difatti, nel maggio successivo, il Consiglio federale si è pronunciato per l’abbandono graduale del nucleare. Questa decisione è poi stata ribadita nella Strategia energetica 2050. Ciò significa che, una volta spente, le cinque centrali nucleari svizzere non potranno più essere sostituite. Questa posizione del Governo, poi confermata dal Parlamento, è sostanzialmente in linea con la richiesta dell’iniziativa popolare «Per un abbandono pianificato dell’energia nucleare», sottoposta a popolo e cantoni il 27 novembre prossimo. A non essere condiviso da Consiglio federale e dalla netta maggioranza delle Camere è però lo spegnimento precipitoso delle centrali nucleari: una mossa affrettata e costosa, sicuramente prematura e inopportuna. 

Insomma, a essere contestato non è il problema della rinuncia all’energia nucleare, ma i tempi accelerati con cui l’iniziativa propone di attuare questo obiettivo. Secondo due recenti sondaggi, la maggioranza dei cittadini approverebbe non solo l’abbandono del nucleare, ma anche la strategia dell’iniziativa che fissa un programma vincolante di spegnimento delle centrali. Lo stesso entrerebbe in vigore già l’anno prossimo, non essendo necessaria una legge d’applicazione. 

Se si fosse votato nelle prime settimane di ottobre, gli elettori si sarebbero pronunciati a favore dell’iniziativa nella misura del 57%, mentre il 36% si sarebbe detto contrario. Il restante 7% era ancora indeciso. Anche secondo il primo sondaggio online condotto da Tamedia, l’iniziativa dei Verdi raccoglierebbe il 55% dei consensi, contro il 43% di contrari e solo il 2% di indecisi. Il fronte dei sì sarebbe quindi in vantaggio, sebbene la campagna in vista della votazione fosse solo agli inizi, ciò che potrebbe dar spazio a nuove percentuali.

Le cinque centrali nucleari svizzere producono circa il 40% dell’energia elettrica del Paese. Potranno restare in funzione fintanto che sono sicure. In sostanza, l’iniziativa dei Verdi vuole spegnere le cinque centrali nucleari svizzere dopo 45 anni dalla loro entrata in funzione e sostituire la corrente elettrica da esse prodotta con energie rinnovabili. È sostenuta dal Partito socialista, dal Partito evangelico, dai Verdi liberali, nonché da varie organizzazioni ambientaliste. Quali sono le conseguenze di questa modifica costituzionale? Se popolo e cantoni dovessero accoglierla, la centrale nucleare di Beznau 1, entrata in servizio nel 1969, dovrebbe essere spenta l’anno prossimo. Lo stesso vale per le centrali di Beznau 2 e Mühleberg, entrambe attivate nel 1972. BKW Energie AG, che sfrutta Mühleberg, ha comunque deciso di chiudere la centrale nel 2019 per motivi economici. 

Le scadenze di spegnimento per le rimanenti due centrali sono le seguenti: 2024 per la centrale di Gösgen, messa in servizio nel 1979 con una potenza di 1000 MW, 2029 per quella di Leibstadt, entrata in funzione nel 1984 con una potenza di 1165 MW. Quest’ultima produce corrente per 2 milioni di economie domestiche. Gösgen e Leibstadt danno lavoro assieme a quasi 1000 dipendenti. 

Dunque, l’anno prossimo verrebbero a mancare di colpo oltre 1100 Megawatt (MW) di potenza elettrica netta, pari a un terzo dell’elettricità prodotta attualmente nel nostro Paese con il nucleare, da sostituire con maggiori importazioni di elettricità, di origine nucleare da Francia e Germania (ciò che è un controsenso) e fossile (corrente elettrica prodotta con combustibili che sono all’origine dell’effetto serra che tutti vorrebbero ridurre). Infatti, l’anno prossimo non saremo ancora pronti a sostituire questi 1100 MW con una maggiore efficienza energetica e con le fonti rinnovabili. Va ancora segnalato che i due reattori di Beznau, oltre alla produzione di elettricità, riforniscono undici comuni limitrofi con circa 150 GWh di calore attraverso un sistema di teleriscaldamento. 

Secondo i promotori dell’iniziativa, l’energia nucleare è superata e pericolosa, visto che le Camere federali non hanno voluto rafforzare la sicurezza e dare ulteriori mezzi di controllo all’Ispettorato federale della sicurezza nucleare (IFSN). Sempre a loro modo di vedere, il nucleare è un «fiasco finanziario». Con i prezzi ridotti dell’elettricità, lo sfruttamento della fissione nucleare non è più redditizio. I fautori dell’iniziativa temono che, alla fine, saranno i contribuenti a pagare la fattura.

Anche il Consiglio federale, dopo aver preso la decisione di principio di abbandonare il nucleare, è consapevole che si debba trovare un’alternativa. La strategia proposta dall’iniziativa è però affrettata. Sviluppare nuove energie rinnovabili, come quella solare o eolica, richiede tempo. L’iniziativa creerebbe dunque grossi problemi dal profilo dell’approvvigionamento energetico e potrebbe costare molto caro ai contribuenti. Per questo, il governo invita a respingere il progetto dei Verdi. La ministra dell’energia Doris Leuthard, lanciando la campagna contro l’iniziativa, ha ammonito che, in caso di sì, i gestori delle centrali potrebbero avanzare richieste di risarcimento per gli investimenti già effettuati, stimate in centinaia di milioni di franchi.

Finora ci sono stati due casi di risarcimento. In seguito alla bocciatura popolare della centrale di Kaiseraugst (AG), nel 1989 la Confederazione ha dovuto versare 350 milioni di franchi ai proprietari della progettata centrale a titolo d’indennizzo per gli investimenti già effettuati. Altri 227 milioni erano stati versati nel 1996 per l’impianto di Graben (BE), pure abbandonato.

Uno spegnimento in tempi brevi ci costringerebbe – come detto – a importare elettricità. Tuttavia, un incremento massiccio delle importazioni, rischierebbe di sovraccaricare l’infrastruttura della rete, mettendo in pericolo la sicurezza di approvvigionamento della Svizzera. Il Consiglio federale avverte che le linee elettriche e altri elementi della rete non sono attualmente in grado di sostenere un aumento significativo e duraturo delle importazioni di elettricità.

Per tutti questi motivi e per non correre il rischio di avventurarci in penurie e in inutili costi da addossare in ultima analisi ai contribuenti, Consiglio federale e partiti borghesi preferiscono puntare sulla strategia energetica 2050, approvata dal Parlamento a fine settembre. Questa strategia prevede un abbandono graduale del nucleare. Ciò significa che le centrali esistenti, una volta spente, non potranno essere sostituite. 

L’abbandono del nucleare dovrà andare di pari passo con una riduzione del consumo di elettricità, con un consolidamento delle energie rinnovabili e con un potenziamento delle reti elettriche. Contro questa legge definita «disastrosa», l’UDC ha impugnato il referendum. Adducendo calcoli basati su documenti ufficiali, questo partito sostiene che la fattura ammonterà a circa 3’200 franchi supplementari all’anno per una famiglia di quattro persone e a 200 miliardi, entro il 2050, per consumatori e contribuenti. 

Secondo la citata strategia energetica, le centrali nucleari esistenti possono continuare a funzionare finché sono sicure. La centrale di Beznau 1 che, con 46 anni di esercizio alle spalle, è la più vecchia del mondo, non potrebbe sollevare qualche dubbio per quanto riguarda la sicurezza? Per Doris Leuthard, che abita a soli 40 km di distanza, il «rischio zero» non esiste da nessuna parte. Ciò vale anche per altri settori, come i trasporti. 

I gestori delle centrali sono tenuti a garantire standard di sicurezza elevati. Se necessario, l’Ispettorato federale della sicurezza nucleare (IFSN) può ordinare l’immediato spegnimento di una centrale. Gli avversari delle centrali nucleari sostengono tuttavia che le analisi di sicurezza non tengono conto di nuove minacce come gli attacchi terroristici. Ma Doris Leuthard ribadisce che sono stati esaminati scenari quali cadute di aerei e anche attacchi terroristici dai quali risulta che le centrali svizzere sono ben protette. Non ritiene corretta la strategia degli avversari delle centrali atomiche volta a sollevare inutili paure.

La nuova legge sulla strategia energetica 2050, sempre che non inciampi nel referendum dell’UDC, non entrerà in vigore prima del 2018. Tuttavia, se nel 2017 si porrà fine alla produzione di tre delle cinque centrali nucleari elvetiche, si dovrà sopperire al 15% della domanda di elettricità. Anche governo e parlamento hanno deciso di non più costruire nuove centrali, abbandonando così a medio termine lo sfruttamento pacifico dell’atomo. Occorre però saper valutare la realtà e non compiere il passo più lungo della gamba, per non correre il rischio di trovarci spiazzati.