Il mondo aspetta l’esito delle elezioni americane come se dovessero cambiare il mondo. Non accadrà. Chiunque sia l’inquilino della Casa Bianca, le linee di fondo della geopolitica mondiale sono quelle correnti. Certo, l’impatto del Covid-19 sta alterando alcune dinamiche, aggravando diverse crisi, producendo un problema di legittimazione e di efficienza nelle istituzioni nazionali e internazionali. E la figura del vecchio/nuovo presidente americano avrà, come e più di prima, un impatto sulle percezioni altrui dell’America. Ma immaginare che il presidente degli Stati Uniti sia il centro dei poteri americani, o addirittura il presidente del mondo, come specie in Europa si fantastica, significa ragionare in termini irrealistici.
Quello che l’esito della competizione elettorale ci dirà è anzitutto il grado di efficienza della tecnocrazia strategica, dello Stato profondo a stelle e strisce. Non è un mistero che fra Trump e quelle agenzie – intelligence sopra ogni altra – la temperatura non sia mai stata piacevole. In particolare con la Cia e l’Fbi la lotta è stata all’ultimo sangue. Ma anche all’interno della sua mobile amministrazione il clima non è mai stato tranquillo, considerata la permanente turnazione negli incarichi di base e di punta, compresa la segreteria di Stato e il Consiglio per la Sicurezza nazionale. Alcuni se ne sono andati sbattendo la porta, come l’ex segretario di Stato John Bolton, capo dei «falchi» neoconservatori, che dalla sua breve esperienza ha tratto spunto per un libro di grande successo, ritratto spietato del caos regnante nella Casa Bianca di Donald Trump.
Negli apparati spira quindi un vento di insofferenza verso Trump, considerato a torto o a ragione un problema più che una risorsa per l’impero americano. Un suo ritorno alla Casa Bianca per altri quattro anni significherebbe che le burocrazie non sono in grado di controllare o alterare l’esito di una tornata elettorale presidenziale, ciò che è nelle loro possibilità. Sotto certi aspetti, persino loro dovere. In particolare vale per le agenzie di intelligence, che non sono sottoposte alla legge ma ad essa sovraordinate, in nome della protezione dei superiori interessi dello Stato, ovvero della difesa del primato globale americano.
La vittoria di Trump non sarebbe accolta con speciale gioia nemmeno dal Partito repubblicano. I più autorevoli senatori e deputati del Grand Old Party non nascondono oramai ciò che alcuni di loro hanno sempre pensato di Trump, ovvero che sia un pessimo presidente ma anche un pessimo portabandiera del partito. E nella campagna elettorale che prevede un ampio rinnovo delle Camere diversi candidati repubblicani hanno preso le distanze da The Donald, temendo che schiacciarsi sulla sua retorica sia poco utile ai fini della conservazione dei loro seggi parlamentari.
Tutto questo, insieme alla grave crisi sociale e di identità attraversata dal Paese, spiega perché alla vigilia i sondaggi dicano Biden. Certo, anche nel 2016 le agenzie incaricate di sondare gli umori dell’elettorato certificavano la vittoria di Hillary Clinton, tanto che Trump aveva preparato il discorso di accettazione della sconfitta, non il bollettino della vittoria. Stavolta, se l’esito sarà contrastato, è probabile che il presidente uscente contesti la legittimità del voto e si barrichi, forse non solo metaforicamente, nello Studio Ovale. Sicuramente Trump metterebbe sotto accusa il voto per posta e accuserebbe il rivale di avere manipolato il risultato.
È quindi da prevedere un dopo-voto acrimonioso e forse drammatico. In estrema ipotesi, sarebbe la Corte Suprema, sulla carta orientata per Trump, a dire l’ultima parola.
La vera incognita, in caso di vittoria di Biden, sarà chi in effetti incarnerà il ruolo di portabandiera degli Stati Uniti. A meno di miracolose trasformazioni – la magistratura rivela l’uomo, dicevano i romani – Biden non avrà la statura e l’irradiamento che normalmente sono richiesti a una personalità pubblica di tale visibilità. E soprattutto, occorre chiedersi chi in effetti presiederà alla macchina dell’impero, stante l’estrema incertezza che regna riguardo alla squadra di governo. Prepariamoci in ogni caso a un prolungamento della crisi americana in corso. E ad assorbirne gli effetti anche in casa nostra.