Come sarà il mondo fra una generazione? Nessuno può presumere di stabilirlo, ma ragionare sul futuro apparentemente lontano è esercizio utile. Necessario soprattutto per gli attori geopolitici, specie per le grandi potenze che incidono sulle relazioni e sugli equilibri planetari. Ma anche per chi analizza le traiettorie di questi attori, cercando di anticiparne gli effetti. A questo esercizio la rivista italiana di geopolitica «Limes» ha dedicato i tre giorni del suo Festival annuale (19-21 novembre), che si svolge da otto anni al Palazzo Ducale di Genova, e il relativo volume su La riscoperta del futuro. Di qui alcune considerazioni sul mondo nel 2051, riferite in particolare a tre scenari: la competizione per il primato Stati uniti-Cina; l’Europa, o meglio le Europe; la questione migratoria.
Due premesse di metodo. Primo, per cogliere per quanto possibile le tendenze geopolitiche future occorre affondare nel passato lontano e fuggire la tentazione di estrapolare linearmente dal presente; se si resta prigionieri della cronaca si perde il senso di ciò che conta davvero, percepibile solo nel lungo periodo. Secondo, studiare i fattori antropologico-culturali e la demografia da cui molto più che dalle tendenze economiche sono influenzati i comportamenti e i progetti delle comunità.
Quanto alla sfida Usa-Cina (nella foto Joe Biden e Xi Jinping), il suo esito dipenderà largamente dal tono delle rispettive collettività più che da qualsiasi altro elemento. Nel medio-lungo periodo la partita sarà decisa dalla disponibilità dei popoli americano e cinese a giocarla fino in fondo. L’America vive da tempo una crisi d’identità accentuata dalla «fatica imperiale», ovvero dall’insofferenza per i sacrifici che comporta la gestione di una sfera d’influenza quasi illimitata, imperniata sul controllo delle massime rotte marittime e dei relativi traffici. Al punto che l’amministrazione Biden ha varato una sua peculiare dottrina, la «geopolitica della classe media», di cui potremmo scandire così le tre principali priorità: rimettere casa in ordine, rimettere casa in ordine, rimettere casa in ordine. Poi, Cina. Approccio coerente con quanto avvenuto negli ultimi anni e decenni (amministrazioni Obama e Trump incluse) a seguito della vittoria nella guerra fredda, ovvero dell’estensione delle responsabilità americane a quella parte di mondo un tempo gestita dall’Urss.
Qualcosa di simile s’intravvede nel corpo della Cina. I cinesi sono troppi, troppo anziani (età media 54 anni) e troppo disabituati al conflitto per anelare allo scontro con il numero uno. Inoltre, le faglie interne fra aree ricche e povere, abitate da cinesi o da minoranze refrattarie, resta profondo e non pare destinato a ridursi facilmente. Incrociando le traiettorie americane e cinesi si può immaginare certo un conflitto, probabilmente accidentale, dunque difficilmente governabile. Più probabile una crisi di entrambe le potenze, che porterebbe a un grado critico il disordine mondiale, in un pianeta di quasi 10 miliardi di anime nel 2051 (stime Onu). Ma forse potrebbe indurle al compromesso.
Uno sguardo alle Europe. Qui sarà da tenere d’occhio una faglia di lunghissimo periodo, quella fra ovest ed est. Partizione che può essere fatta risalire alla guerra gallica, quando Giulio Cesare stabilì che le tribù d’oltre Reno – da lui battezzate germaniche – fossero inassimilabili alla romanità. Nei secoli successivi, specie in epoca carolingia, si è determinata una linea di frattura tra mondo romano-germanico di tono cattolico e mondo slavo, più o meno attorno ai bacini di Reno, Danubio ed Elba. Faglia persistente nei secoli.
Qualcuno immaginava che l’Ottantanove avrebbe riunito il Continente e che al posto della cortina di ferro avremmo costruito ponti infiorati. Abbiamo invece solo avanzato nuove barriere verso la Russia e contro i flussi migratori. Nello spazio euroatlantico i processi disintegrativi – che producono eventuali aggregazioni di taglia minore, tipo Gruppo di Visegrad o Nuova Lega Anseatica – dovrebbero accentuarsi, liquidando definitivamente il sogno o l’incubo dell’Europa unita. Con possibili effetti di balcanizzazione di alcuni spazi europei, non solo all’est.
Infine, le migrazioni dal Sud povero, giovane e in forte crescita demografica (l’Africa dovrebbe passare in 30 anni dal miliardo e 300 milioni di abitanti attuali a 2 miliardi e mezzo) verso il relativamente ricco e ordinato Continente europeo. Qui tutto sarà deciso dalla capacità degli europei di selezionare e integrare uomini e donne di cui abbiamo bisogno, ma che mai accetteranno di essere considerati solo strumenti per l’economia. Se non ci riusciremo, ben prima del 2051 i nostri Paesi saranno segnati da numerose enclave autogestite da popolazioni di origine esterna, con poca o nulla volontà di partecipare alla vita sociale e civile dello Stato di arrivo. Probabilmente gli scenari che suppongono migrazioni di massa verso l’Europa sono esagerati, ma la percezione di questi eventi, quasi fossero già in corso, potrebbe sviluppare effetti gravi perfino sulla tenuta delle istituzioni. Prepariamoci dunque a un futuro di difficile gestione. La vacanza dalla storia di cui noi europei abbiamo goduto dal 1945 non è eterna. Senza isterismi, ma con consapevolezza, conviene attrezzarsi a gestire stagioni meno sicure e governabili.
Uno sguardo al mondo nel 2051
Sfida tra Stati uniti e Cina, frammentazione dell’Europa e migrazioni. Ci aspetta un futuro di difficile gestione
/ 29.11.2021
di Lucio Caracciolo
di Lucio Caracciolo