Uno schiaffo all’Occidente

Il nuovo Governo talebano in Afghanistan è una cricca di terroristi legata a doppio filo al Pakistan e alla Cina. Mentre il mondo resta a guardare, nuvole sempre più dense oscurano le prospettive future
/ 13.09.2021
di Francesca Marino

Il dado è tratto. E, data la sua particolare conformazione fisica, è come tutti i dadi particolarmente difficili da mandare giù. I talebani, la nuova, riformata e amichevole versione 2.0 delle feroci «bestie» degli anni Novanta, ha annunciato finalmente la formazione del nuovo Governo. Che, sorpresa, è esattamente identico a quello dei vecchi talebani. Anzi, è composto per buona parte da vecchi combattenti dei bei tempi in cui regnava il mullah Omar (amico di Osama Bin Laden). E per intero da terroristi. A partire dal primo ministro, il mullah Hassan Akhund, vecchio compagno di merende del mullah Omar che è da anni sulla lista dei terroristi degli Stati uniti e dell’Onu. Così come il nuovissimo ministro degli Interni, Sirajuddin Haqqani, su cui pende una taglia di 5 milioni di dollari della Cia.

Per intenderci, Akhund è il signore che ha ordinato, tra le altre cose, la distruzione dei Buddha di Bamiyan, mentre Sirajuddin Haqqani, promosso a editorialista dal «New York Times», è a capo della rete più efferata e mercenaria di attentatori suicidi di cui si abbia notizia. Lo zio di Sirajuddin, Khalil Haqqani, è stato promosso a ministro dei Rifugiati: inutile dire che anche Khalil, come Sirajuddin, trova posto nella lista dei terroristi internazionali delle Nazioni unite visto che è il referente di Al Qaeda all’interno dell’organizzazione. Legato agli Haqqani è anche il vice-capo dell’intelligence, che dirigeva il «Kabul attack network»: un’organizzazione composta da membri di varie organizzazioni jihadiste che avevano il compito di effettuare attentati nella capitale afghana.

Tra i ministri anche il figlio e il fratello del mullah Omar, rispettivamente alla Difesa e ai Lavori pubblici, e Abdul Haq Wasiq, che sotto i «vecchi» talebani dirigeva il coordinamento dei campi di addestramento di Al Qaeda e degli stessi talebani. Particolari interessanti: una manciata dei nuovi ministri è stata a lungo ospite delle patrie galere, 17 dei nuovi ministri sono tra i terroristi designati dall’Onu, un paio hanno soggiornato a Guantanamo. Mentre almeno 6 dei ministri del nuovo Governo afghano hanno studiato in Pakistan, nella famigerata madrasa Jamia Haqqania, la madrasa di Peshawar dove, tanto per capirci, si è laureato il fior fiore della jihad afghana e dove i talebani hanno mosso i loro primi passi di «studenti di teologia». Non è un caso, difatti, che sia stato il ministro degli Interni pakistano, e non un portavoce dei talebani, ad annunciare giorni fa l’imminente formazione del nuovo Governo. E che il Governo in questione sia stato formato soltanto dopo che il generale Faiz Hameed, capo dell’Inter service intelligence (i servizi segreti pakistani), era arrivato a Kabul. Installandosi all’Hotel Serena, da dove diffondeva immagini sorridenti mentre beveva una tazza di tè in compagnia di diplomatici vari. E da dove ha diretto le trattative che negoziavano un ruolo di rilievo per gli Haqqani nel nuovo Governo. Un Governo che sembra accuratamente formato per dare un ulteriore schiaffo morale allo sconfitto Occidente e per tutelare gli interessi geostrategici di Islamabad e della Cina.

I cosiddetti moderati, come Baradar (cognato del mullah Omar), hanno ottenuto posti di relativo secondo piano mentre il bottino è andato tutto ai talebani duri e puri, a quelli cioè con legami più stretti con l’Isi di cui sopra. Con buona pace di tutti i sostenitori del mito dei «nuovi» talebani e del principio secondo il quale bisognerebbe giudicare dai fatti i nuovi/vecchi padroni dell’Afghanistan. I fatti sono davanti agli occhi di tutti, così come le implicazioni a dir poco surreali del nuovo Governo afghano. Sarà disposta la Cia, nel quadro della famosa lotta al terrorismo, a condividere informazioni di intelligence con Sirajuddin Haqqani su cui pende una taglia della stessa agenzia? E che dire di un vertice tra lo stesso Haqqani e la sua controparte americana Blinken? O di Akhund che prende posto all’Onu? Le domande sul tappeto sono molte e tutte inquietanti. C’è stato un accordo tra Usa e Pakistan perché fosse lasciata mano libera ai servizi pakistani?

Visto che, dall’Hotel Serena, Faiz Hameed dirigeva e coordinava anche l’avanzata dei talebani verso il Panjshir. Dall’arrivo dell’ineffabile generale, infatti, il bastione di resistenza di Ahmad Massud e di Amirullah Saleh è stato attaccato con tutta la forza degli equipaggiamenti lasciati dagli americani ai talebani. A bloccare l’accesso alla valle è stato inviato il reparto speciale di quei Badr 313 equipaggiati come i militari statunitensi. Pochi si ricordano che la brigata speciale è figlia di quella Brigata 313 comandata da Ilyas Kashmiri. Una brigata d’assalto che raccoglieva il meglio di talebani, Al Qaeda e di vari gruppi terroristici pakistani. Denominatore comune? Tutti gestiti dall’Isi. Al Panjshir sono stati bloccati gli approvvigionamenti di viveri e medicine, gli abitanti sono stati uccisi a sangue freddo, i villaggi rasi al suolo. Con l’aiuto, messo in evidenza da svariate fonti sul campo e alla fine confermato da una fonte di Centcom (il comando centrale delle forze armate degli Stati uniti) a «Fox News», di elicotteri e droni delle Forze speciali pakistane. Che del doppio e triplo gioco con salto mortale carpiato hanno fatto, sin dai bei tempi di Hamid Gul e dopo di Musharraf, la loro cifra stilistica.

L’Occidente continua a far finta di nulla, ostinandosi a credere allo spauracchio del nucleare pakistano che potrebbe finire in mano ai terroristi. Senza prendere atto della circostanza che la bomba pakistana è già in mano alla più grossa organizzazione terroristica del mondo: l’Isi. Che della creazione e gestione di gruppi terroristici ha fatto, fin dalla nascita del Pakistan, il suo mezzo privilegiato di politica estera. E che ora, secondo gli afgani che da giorni protestano in piazza contro Islamabad, ha di fatto completato con successo l’invasione dell’Afghanistan per mezzo dei talebani. Mentre, a livello diplomatico, porta avanti l’abituale narrativa: bisogna sostenere Islamabad, dando denaro al Governo, perché accolga i rifugiati. Denaro che finirà, come è successo in tutti questi anni, dritto nelle tasche dei generali che sono ormai padroni della maggior parte dei terreni edificabili al confine con l’Afghanistan (in combutta con i cinesi) e che estenderanno il loro business anche dall’altra parte del confine. Sotto l’egida sinistra del China Pakistan economic corridor già benedetto dai talebani.