Un’iniziativa con scarsi effetti

Il salario del massimo dirigente del Credit Suisse ha suscitato stupore in Svizzera, dato che la banca ha registrato una perdita di 2,6 miliardi di franchi. L’iniziativa non ha provocato grandi cambiamenti, ma ha forse permesso di evitare esagerazioni
/ 03.04.2017
di Ignazio Bonoli

La rimunerazione di 11,9 milioni versata al direttore generale del Credit Suisse Tidjane Thiam per l’anno scorso ha sollevato discussioni in Svizzera. Non solo perché conferma i timori che la celebre iniziativa contro salari spropositati per i massimi dirigenti dell’economia non trova pratica applicazione, ma anche perché il Credit Suisse stesso è in una situazione delicata. Infatti, il 2016 si chiude per la grande banca con una perdita di 2,6 miliardi di franchi, aumentata perfino di 272 milioni a causa di accantonamenti di 300 milioni per la copertura di rischi giuridici. Accantonamenti resi necessari dall’accordo con la giustizia americana il relazione al problema delle ipoteche immobiliari cartolarizzate. Multa che va ad aggiungersi a 2,5 miliardi di franchi concordati con le autorità americane per concludere la vicenda dei «subprime» ed evitare il processo.

La rimunerazione di Thiam è giustificata dal Consiglio d’amministrazione con il fatto che il massimo responsabile operativo della banca è tuttora alle prese con una profonda ristrutturazione dell’istituto che esige tempi lunghi. Nell’anno precedente (dopo sei mesi dall’entrata in funzione) era stata fissata in 4,6 milioni, ma l’interessato aveva rinunciato a parte del bonus, mentre nella funzione precedente aveva guadagnato 14,3 milioni di franchi. D’altro canto, la rimunerazione 2016 si compone di 3 milioni del salario di base, un bonus contante di 4,17 milioni, di cui solo la metà incassata subito, e un bonus legato ai risultati futuri di 4,05 milioni, da riscuotere negli anni tre, quattro e cinque dopo l’assegnazione, se i risultati previsti verranno raggiunti.

La rimunerazione è comunque inferiore a quella del CEO di UBS Sergio Ermotti, pari a 13,7 milioni, ma con risultati ben migliori a quelli del CS. Anche su UBS pende comunque la spada di Damocle della vicenda con il fisco francese che potrebbe costare più di un miliardo e per la quale UBS non ha accettato una transazione preferendo andare a processo. Il mondo finanziario attende l’esito di questa diatriba, per vedere se finalmente le pressioni contro le banche svizzere potranno finire.

L’esame di questi dati non basta per dire se l’iniziativa contro le rimunerazioni esagerate ha avuto successo o no. Guardando alle medie degli anni a partire dal 2011 non si notano però grandi cambiamenti. È vero però che gran parte delle rimunerazioni dipende dal risultato d’esercizio ed è perfino collegata – come visto nell’esempio precedente – ai risultati futuri. Altro fattore determinante sono i confronti con quanto avviene all’estero su questo mercato molto particolare, e anche qui la situazione non è cambiata di molto, nonostante la crisi che ha colpito alcuni settori in particolare. Da ricordare inoltre che l’iniziativa in questione concede ampie facoltà ai consigli d’amministrazione nella fissazione dei salari e questi rispondono agli azionisti, che votano su un rapporto particolare. I dati di cui abbiamo riferito sono contenuti in questo rapporto.

Un’analisi globale della situazione mostra che, anche dopo il voto dell’iniziativa popolare, i salari degli alti dirigenti non sono diminuiti di molto. Anzi, considerate le masse salariali dei dirigenti delle grandi aziende quotate in borsa, si nota, dal 2014, una leggera tendenza all’aumento, anche se sono scomparse le rimunerazioni esagerate che avevano sollevato l’indignazione popolare. La media delle migliori si muove ancora fra i 10 e i 15 milioni di franchi.

Uno studio pubblicato dalla zurighese HCM, che considera 76 delle 100 maggiori ditte che pubblicano i dati, indicano nel 2016 un aumento medio del 3%. Il valore mediano delle 48 aziende confrontabili indica però un aumento del 20% e lo stesso salario mediano è aumentato del 14%. Questo può significare un avvicinamento alla media dei salari che è di 3,6 milioni. Il salario base è comunque in media del 40% della rimunerazione totale. Un quarto è dato dal bonus annuale e un altro terzo dai bonus rinviati a più tardi, generalmente sotto forma di azioni o altre carte-valori delle società gestite.

Secondo l’esperienza della HCM, dall’applicazione dell’iniziativa nel 2014 non si sono notati forti aumenti delle rimunerazioni, ma nemmeno diminuzioni. Generalmente il voto degli azionisti su questi temi ha avuto influssi positivi, ma non è detto che ciò sia dovuto all’iniziativa, ma sicuramente alla discussione che ha accompagnato il controprogetto delle Camere federali. In questo campo la Svizzera sta facendo le stesse esperienze di altri paesi. Per esempio la Gran Bretagna conosce già il sistema del voto consultivo degli azionisti fin dal 2003. Il voto degli azionisti ha in genere avuto l’effetto di un calmiere. Di regola, gli azionisti badano più alla commisurazione dei salari al risultato d’esercizio, che non alla rimunerazione stessa.