Il rialzo del costo del denaro negli Stati Uniti – a cui seguirà un’analoga azione della Bce – è un’azione obbligata. L’inflazione è ai massimi da 40 anni e non accenna a raffreddarsi. Il carovita assedia Joe Biden come tutti i governanti dell’Occidente. Il presidente americano valuta anche l’opzione di abolire certi dazi introdotti dal suo predecessore sui prodotti made in China. Questo non avrebbe l’effetto di placare l’inflazione che ha cause diverse: per due anni dopo l’introduzione di quei dazi l’indice dei prezzi rimase stabile. La Casa Bianca stima che abolire i dazi potrebbe ridurre l’inflazione dello 0,25% mentre il costo della vita sta salendo dell’8,6%. Però Biden è tartassato da pressioni di ogni genere – inclusa la lobby filo-cinese del capitalismo americano – per «fare qualcosa», qualsiasi cosa. La storia insegna che purtroppo dai periodi di alta inflazione si esce con una stretta monetaria della banca centrale che imprime una frenata alla crescita, spesso fino alla recessione. Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ormai non esclude che la recessione possa essere un effetto collaterale del rialzo dei tassi.
In Europa c’è chi associa le gravi turbolenze economiche del momento (shock energetico, penurie alimentari, carovita, problemi di finanziamento del debito) alla guerra in Ucraina e alle sanzioni sulla Russia. Il sottinteso, secondo alcuni, è che basterebbe rinunciare alle sanzioni e tutto tornerebbe come prima. Si dimentica che le tensioni economiche erano cominciate molto prima della guerra e delle sanzioni. Le fiammate di rialzi sui prezzi del gas, per esempio, risalgono a un anno fa. All’uscita dalla pandemia c’è stata una convergenza di fattori: eccesso di liquidità e di deficit pubblici, errori nella transizione alle energie rinnovabili, fine dello «sconto cinese». Se scomparissero le sanzioni contro la Russia quei problemi non verrebbero risolti.
Il mondo galleggia su una liquidità enorme, conseguenza delle politiche monetarie audaci con cui furono curate la grande crisi del 2008-2009 e poi la breve recessione da pandemia. È da tredici anni che le azioni delle banche centrali hanno avuto un effetto equivalente allo «stampare moneta» a tasso zero (sia pure con dei momenti di pausa e inversione di tendenza come quella che portò alla crisi dei debiti nell’Eurozona). I profeti di sventura preannunciavano che quell’eccesso di liquidità avrebbe causato inflazione; per molto tempo quelle previsioni non si sono avverate e abbiamo finito per credere che si potesse creare moneta all’infinito. Anche la febbre delle criptovalute – che si conclude rovinosamente – era figlia di un’era in cui tutto sembrava possibile. Incluso il creare debito pubblico senza doverlo mai ripagare. Il futuro può riservarci nuove sorprese e «cigni neri», al momento si assiste a una rivincita di regole economiche meno creative e più tradizionali.
Rimase inascoltato anche un economista di sinistra, Larry Summers, ex segretario al Tesoro con Bill Clinton ed ex consigliere economico di Barack Obama, quando attaccò il suo partito per la sovrabbondanza di spesa pubblica anti-pandemia. Summers si scagliò contro Biden e i parlamentari democratici nel gennaio 2021, contestando la terza manovra di sussidi alle famiglie per 1.900 miliardi di dollari. L’economia americana era già uscita dalla breve recessione, era in corso una robusta ripresa post-pandemia. Aggiunta alle manovre analoghe di Donald Trump, quella firmata da Biden portava a 5000 miliardi di dollari il denaro pubblico messo in tasca agli americani: solo la seconda guerra mondiale vide livelli di spesa così elevati in proporzione al Pil. Il boom dei consumi Usa ha coinciso con il fenomeno della «grande dimissione»: protetti dagli aiuti di Stato molti lavoratori hanno abbandonato mansioni pesanti e non abbastanza remunerate. Il costo del lavoro ha cominciato a salire, altra causa d’inflazione. La Cina ha fatto la sua parte. I suoi lockdown prolungati hanno causato penurie di molti prodotti. Quando le fabbriche cinesi hanno ricominciato a lavorare a pieno ritmo, i ritardi si sono accumulati e i listini dei prezzi in Occidente sono rincarati. Nel settore dei trasporti si sono riversate altre strozzature. La scarsità è un’arma in mano a chi ha potere monopolistico: può imporre rialzi dei prezzi a piacimento. È accaduto nel trasporto navale. Biden è andato al porto di Los Angeles a denunciare il ruolo delle compagnie di armatori, un oligopolio mondiale. È tardi per accorgersi che in molti settori dell’economia manca una vera concorrenza; l’antitrust non ha funzionato; quando si creano le condizioni – un eccesso della domanda rispetto all’offerta – alcuni poteri forti estorcono dei sovraprofitti fenomenali.
Poi c’è l’energia. Lì gli elementi di monopolio sono tanti: per decenni l’Europa ha regalato alla Russia un enorme potere legandosi con una dipendenza fatale. Va ricordato anche quel che accadde un anno fa nel Mare del Nord quando il vento soffiò meno del previsto. I maggiori produttori di energia eolica – come il Regno Unito – soffrirono ammanchi gravi. Si scoprì quel che doveva essere noto: le energie rinnovabili non sono affidabili 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno, hanno pause di erogazione che vanno compensate con l’uso del nucleare, o di fonti fossili come il gas. La transizione verso un’economia a zero emissioni carboniche è un processo lungo che va gestito con razionalità e pragmatismo; trasformarla in una dottrina ideologica non ci ha aiutati. I prezzi del gas impazzirono l’estate scorsa molto prima delle sanzioni sulla Russia.
I rialzi dei tassi aggrediscono solo una causa d’inflazione: raffreddano la domanda, comprimono consumi e investimenti. La cura è dolorosa. Ma lasciar correre l’inflazione avrebbe effetti disastrosi sul potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. L’iperinflazione degli anni Settanta fu un periodo caotico, comandava la legge della giungla. Quando i prezzi impazziscono, chi ha il potere per arricchirsi ne approfitta e i tentativi di mettere un argine politico alla speculazione di solito non funzionano: un esperimento di «prezzi amministrati» fallì perfino sotto il presidente repubblicano Richard Nixon. Allo stesso modo, la tentazione di curare l’inflazione concedendo una resa a Vladimir Putin e a Xi Jinping, è una terapia ideologica e interessata, che non ha nulla a che vedere con le cause del male.
L’inflazione non colpisce tutti i paesi allo stesso modo. L’Estremo Oriente è al riparo, almeno per adesso. Una spiegazione, che sembra banale ma è significativa, riguarda il mix alimentare. I paesi dell’area del grano e dei cereali sono colpiti da rincari di queste derrate alimentari che risparmiano i paesi dove il riso è la componente di base dell’alimentazione. La Cina non conosce per adesso un’inflazione analoga alla nostra. Il Giappone ancora risente di decenni di deflazione. L’India riesce ad attutire lo shock energetico acquistando petrolio russo con sconti del 30%. Ancora una volta siamo di fronte a una crisi asimmetrica. Proprio come nel 2008.