Un’icona della cultura pop

Gran Bretagna, la regina ci ha dato un esempio e ci è stata accanto con la sua perfezione, il piglio pacato e una grande passione
/ 12.09.2022
di Cristina Marconi

E quindi dovremo vivercela senza Elisabetta, questa contemporaneità così inospitale. Tra guerre, clima impazzito, prospettive di inverni scaldati solo da tenui fuocherelli, allarmi nucleari, tecnologia alienante, crisi economiche e pandemie, non saremo più protetti da quell’icona formidabile che è stata la sovrana britannica, una che non ha mai preso una decisione politica in vita sua, eppure ha fatto quello che fanno i leader, ci ha dato un esempio e ci è stata accanto – a tutti, mica solo agli inglesi – con la sua imperiosa perfezione, quel famoso piglio pacato e una qualità rara, poco usata per descriverla: passione. Elisabetta II è stata una donna appassionata del suo lavoro, lo diceva anche la grande giornalista Camilla Cederna che l’aveva osservata durante una visita a Roma nel 1961, quando nessuno poté «fare a meno di accorgersi della padronanza mostruosa del suo mestiere» accumulata dalla sovrana in pochi anni. Una passione che l’ha portata a non fare errori, o a correggerli con prontezza, e a trasformarsi negli anni in un’autorità potentissima, classica ma fluorescente, capace di far risuonare corde ataviche di rispetto, decoro e di usare le parole giuste anche nella peggiore delle situazioni. Come quando, durante la pandemia, vestita di verde guardò il mondo negli occhi e con la voce calma disse: «Ci rivedremo ancora». Ci ha ricordato che potevamo essere migliori, che non dovevamo aver paura, mai, e se ce lo diceva lei che, bambina insieme alla sorella Margaret era rimasta con il padre sotto le bombe tedesche perché solo così, a detta di sua madre Elizabeth, «avrebbe potuto guardare negli occhi gli abitanti dell’East End londinese», c’era da crederle.

Si può storcere il naso davanti agli eccessi dei giovani reali intemperanti e viziati, si può pensare che la monarchia non sia un’istituzione al passo con i tempi, ma non si può non provare rispetto per una donna arrivata sul trono poco più che ragazza, che ha dedicato la sua vita a una causa ben strana, quella di portare avanti il lignaggio dei re inglesi «appointed by God», «nominati da Dio», di sostenere quella mistica che un tempo nessuno si sarebbe mai sognato di mettere in discussione. E invece è stata proprio quella la lotta della sua vita: far sopravvivere la monarchia in settant’anni di modernizzazione incalzante, tecnologica, sociale e morale, tra nuovi scetticismi e vecchi libertinaggi ormai inaccettabili.

Virginia Woolf racconta l’atmosfera sullo Strand nel 1936, il giorno dell’abdicazione dello zio Edoardo VIII, deciso a sposare la sua pluridivorziata americana Wallis Simpson, e il clima da caduta degli Dei che si respirava tra la gente comune, abituata a vedere i suoi regnanti come appartenenti a una sfera di infallibili e ora storditi davanti alla fine dell’ideale della perfezione reale. «Forse la più profonda soddisfazione che la monarchia ci dà è il fatto che ci regala un paradiso da abitare, più domestico di quello fornito dalla Chiesa d’Inghilterra», scriveva Woolf, osservando che «gli ultimi anni, tuttavia, hanno arrecato un danno a questo grande sogno vittoriano».

Forte anche dell’esempio di suo padre, che dopo lo scandalo dell’abdicazione riportò la monarchia su un piano morale più alto, Elisabetta è riuscita a restaurare «il grande sogno», traendo la sua forza anche dal più improbabile degli alleati, ossia la cultura pop sulla quale ha regnato serena, senza batter ciglio: la sua immagine è stata osannata, strappata, venerata, celebrata in canzoni punk, accostata a quella di icone pop come James Bond o l’orsetto Paddington, raccontata in numerosi film e in una serie perfetta, The Crown, accusata di voler sostituire la storia e la verità fattuale, ma usata anche per rafforzare in maniera straordinaria il «made in Britain», un brand nazionale che vive di tradizione sempre rinnovata e che da questa augusta, minuscola sovrana con i capelli argentati, l’eterna borsetta e i vestiti dai colori psichedelici ha tratto benefici oceanici.

Il suo regno ha coinciso con la diffusione della cultura pop britannica nel mondo, come a sostituire l’impero sul viale del tramonto, e lei è stata sovrana anche di questo evento storico. Anzi, ne è stata imperatrice. Se c’è una cosa che i suoi successori non potranno garantire di certo è l’eccezionalità della sua immagine di donna alle prese con un mondo che cambia: sono tutti troppo classici rispetto a lei, da Carlo con i suoi completi impeccabili e la sua aria da gentiluomo di campagna, a William, tipico ragazzone elegante e sportivo, fino a Kate, che può esibire la sua bellezza senza doversi porre il problema di avere il profilo stampato sulle monete e le banconote. Nonostante la reticenza iniziale, la regina, negli anni in cui Diana stava assestando vari colpi letali alla monarchia, fu costretta a scendere un po’ dal suo piedistallo in modo da ottenere il rispetto della cultura di massa, che nel Regno Unito è così forte anche per via di una stampa scandalistica particolarmente irriverente (ma che l’ha sempre amata).

Dopo il periodo orribile degli anni Novanta mise da parte gli abiti fiorati della maturità, in cui curiosamente guidava il Paese insieme a una sua coetanea dallo stile non del tutto dissimile, Margaret Thatcher, e diventò se possibile ancora più regale, assertiva. Con al braccio l’eterna borsetta dal contenuto ignoto – di cosa può aver bisogno una sovrana? – le scarpe dal tacco comodo ma dai colori straordinari, i cappellini di fattura eccelsa e dai significati reconditi, come quello pervinca con i fiori gialli con cui sembrò mandare un messaggio filo-europeista al Parlamento, Elisabetta era riconoscibile ovunque, non poteva mai essere confusa nella folla. Da un anno e mezzo qualcosa nel suo sguardo era cambiato: in piena pandemia la morte di Filippo, il bel principe che la faceva ridere, l’aveva costretta a vivere il suo lutto isolata con la sua tristezza, esposta in mondovisione nel momento più terribile. Aveva fatto il suo dovere, aveva ripreso a sorridere, poi martedì scorso, all’incontro con la neopremier Liz Truss, il mondo ha assistito a qualcosa di mai visto: uno sguardo perso, il sorriso smarrito di chi già inizia a essere altrove. Un attimo, la fine di un’era.