Un’eredità che non va dimenticata

2021 - Dall’assalto al Congresso a Washington alla fuga dall’Afghanistan fino al semi-fallimento della conferenza sul clima di Glasgow: sono lezioni su cui costruire il futuro
/ 03.01.2022
di Alfredo Venturi

Un 2020 da dimenticare, si diceva un anno fa affidando al 2021 la speranza e l’auspicio di un futuro migliore. In particolare un futuro che confinasse nel passato la tremenda esperienza internazionale della pandemia. Ma perché cancellare il ricordo di esperienze che possono farci vedere con più chiarezza le situazioni critiche, così da affrontarle più razionalmente evitando errori e malintesi? Ora anche il 2021 ha superato il capolinea proiettandoci in un nuovo anno, mentre la pandemia non solo non appartiene al passato ma continua a oscurare il nostro presente conservando una sgradevole priorità fra i mille problemi del mondo. Dimenticare l’anno deludente che si è appena concluso? O piuttosto cercare di decifrarne le contraddizioni, e tutti quegli elementi di fatto che ci possono aiutare a capire il nostro tempo e il nostro mondo, i nostri problemi e le possibili soluzioni? Historia magistra vitae, dicevano gli antichi, e proprio per questo la memoria non va ignorata né cancellata. In fondo anche l’anno 2021 dell’era volgare è ormai storia e dunque può insegnarci qualcosa.

È stato un anno di delusioni, di crisi, di eventi enigmatici e carichi di imprevedibili sviluppi. A cominciare dalla pandemia e dalla sua gestione a volte non proprio cristallina, troppo spesso approssimativa e contraddittoria. È stata come una doccia scozzese: sembrava nell’estate che il morbo cominciasse a regredire ma poi è arrivato l’autunno e sono arrivate una dopo l’altra le varianti del virus ed è parso che l’incubo non dovesse finire mai. La prima cosa che dobbiamo chiedere al neonato 2022 è che si faccia chiarezza sulla reale portata di questa peste del ventunesimo secolo, e anche sul misterioso rapporto fra l’ovvia necessità di difenderci e gli stratosferici interessi commerciali delle multinazionali farmaceutiche. Dobbiamo pretendere l’avvio di una fase nuova, in cui le risorse conoscitive e tecnologiche offerte dalla modernità vengano applicate, al netto delle speculazioni, a una situazione non certo inedita. Non è forse vero che le grandi pandemie hanno attraversato la storia?

Il 2021 è stato inaugurato da un evento clamoroso e del tutto inaspettato, che ha gettato un’ombra sul futuro della democrazia. Infatti sfogliando l’album dei dodici mesi trascorsi il primo avvenimento significativo in cui ci s’imbatte è il furibondo assalto dei sostenitori di Donald Trump alla sede del Congresso nel cuore di Washington. Erano convinti che Joe Biden, il vincitore delle elezioni presidenziali che di lì a pochi giorni avrebbe prestato giuramento e sarebbe entrato in carica, dovesse il successo a una perfida frode elettorale, e che dunque il loro beniamino dovesse restare alla Casa Bianca. Era il mattino del 6 gennaio, il Senato stava esaminando i ricorsi contro l’esito del voto in alcuni Stati, come l’Arizona, nei quali il successo democratico era stato di stretta misura. Proprio su quel dibattito i manifestanti intendevano esercitare la loro pressione. Attraverso i social Trump li aveva incoraggiati all’azione: andate a Capitol Hill, fate sentire la vostra voce!

Altro che la loro voce, la situazione sfuggì di mano agli organizzatori, accanto ai complottisti di QAnon frange di fanatici e di neonazisti si erano infiltrate nella folla dei fedelissimi di Trump, alcuni agitando simboli hitleriani e bandiere della Confederazione sudista. Travolgendo facilmente una struttura difensiva che non era stata calibrata per una situazione di simile portata che nessuno avrebbe potuto prevedere, fecero irruzione nell’edificio parlamentare. Si sentirono colpi di arma da fuoco, si scatenò la caccia a Mike Pence, il «traditore» di Trump che guidava come presidente i lavori del Senato, e a Nancy Pelosi, la speaker democratica dell’altra Camera. A questo punto, sempre ricorrendo ai social, Trump invitò i suoi a tornarsene pacificamente a casa, ma ormai era tardi. Finì con gravi devastazioni, la morte di alcune persone, il ferimento di molte altre, la constatazione di un vulnus senza precedenti alla struttura democratica degli Stati uniti.

Che altro, fra i mille eventi che hanno riempito le cronache, si può considerare come elemento caratterizzante del 2021? Ecco, è stato anche l’anno della grande fuga dall’Afghanistan, eufemisticamente chiamata disimpegno. Accadde nell’estate: mentre il mondo registrava con sollievo l’apparente ritirata del coronavirus, le truppe americane e i contingenti alleati lasciarono in tutta fretta il Paese che avrebbero dovuto pacificare. Il ritiro americano era stato negoziato con i rappresentanti dei talebani dall’amministrazione Trump, ma Joe Biden decise di rispettare il programma limitandosi a ritardarne di qualche mese l’esecuzione. Non fu un bello spettacolo quello dei soldati dell’Occidente che si accalcavano all’uscita, dopo che la diplomazia americana si era garantita l’assenso dei talebani. L’operazione non fu nemmeno incruenta, un micidiale attentato nei pressi dell’aeroporto di Kabul fece strage di civili e militari. A lanciare il brutale messaggio erano stati i terroristi dell’Isis, avversi anche ai talebani che invece erano stati ai patti e si preparavano a prendere possesso del Paese e ripiombarlo nel medioevo. I reparti in fuga portarono in salvo molti collaboratori afghani minacciati di letali ritorsioni, molti altri ne lasciarono alla mercé della vendetta talebana.

Infine a concludere l’anno, marchiandolo come decisamente infausto, il disastro della diplomazia ambientale. Si sperava molto dalla Cop26, la ventiseiesima conferenza delle parti celebrata a Glasgow fra la fine di novembre e i primi giorni di dicembre. In particolare si sperava che sulla falsariga dei risultati già raggiunti nei lunghi anni del negoziato ambientalista i rappresentanti dei duecento Paesi partecipanti avrebbero adottato le misure necessarie per guarire la grande febbre della Terra. Ci voleva un rilancio del patto di Parigi del 2015, che aveva stabilito un limite vincolante all’aumento della temperatura media, dunque alle emissioni di gas a effetto serra, i principali responsabili del surriscaldamento, e ci voleva un impegno di rinuncia al carbone, la più inquinante fra le fonti energetiche. Sarebbe stato un passo decisivo, capace di avviare il grande salvataggio del pianeta. Si sperava in questi sviluppi nonostante i dubbi di Greta Thunberg, la giovanissima paladina svedese della rivoluzione ambientale, che temeva il solito ritornello di chiacchiere vane.

Purtroppo aveva ragione, e in quello che doveva essere l’anno della svolta ecologica si è registrato nient’altro che un nuovo passaggio sostanzialmente interlocutorio. Qualche passo avanti è stato fatto, ma troppo poco di fronte all’incalzare dell’emergenza. Alcuni fra i Paesi che producono, consumano e esportano carbone non hanno voluto rinunciare a questa risorsa, nemmeno nel lungo termine. Dunque gli obiettivi fissati a Parigi restano una chimera nonostante i limitati progressi della conferenza di Glasgow, che riguardano solo una parte del mondo mentre riguarda tutti l’inquietante prospettiva che sovrasta il nostro domani. Gli effetti del cambiamento climatico dovuto al surriscaldamento, a cominciare dal rapido sciogliersi dei ghiacciai e dal conseguente innalzamento del livello dei mari, rischiano ormai di superare il punto di non ritorno. Aree litoranee, città costiere, interi Stati insulari rischiano di scomparire fra le onde, mentre il clima impazzito investe il resto del pianeta.

Eppure questa partita rimane aperta, la diplomazia ambientalista avviata a Rio de Janeiro nel lontanissimo 1992 va avanti. È in programma a novembre la Cop27 a Sharm el-Sheik, la località turistica egiziana sul Mar Rosso, e in quella sede la tendenza potrebbe essere ancora corretta, se non altro grazie all’evidenza dei disastri climatici che flagellano il mondo. Assieme al governo della pandemia, è uno dei gravosissimi compiti che il 2022 riceve in eredità dagli anni irresponsabili che lo hanno preceduto.