Un’alleanza che scricchiola

Pechino non vuole la guerra e teme le conseguenze economiche del conflitto in Ucraina. Americanie cinesi potrebbero approfittare della crisi russa per riprendere a dialogare seriamente?
/ 07.03.2022
di Lucio Caracciolo

L’invasione russa dell’Ucraina cambia l’equazione di potenza su scala mondiale. Cambia quindi anche i rapporti di forza all’interno del triangolo Stati Uniti-Cina-Russia. Fino a ieri avevamo una coppia sino-russa strettamente legata, o almeno così appariva e voleva essere percepita. La scelta di Putin di invadere il vicino ucraino ha colto di sorpresa Xi Jinping. E lo ha notevolmente irritato. Come prima cosa, il leader cinese ha chiamato il collega e amico russo per chiedergli spiegazioni. Putin si è giustificato dicendo che la crisi aveva raggiunto un punto critico. Soprattutto per la decisione di Washington, a suo dire imminente, di installare armi nucleari e missili ipersonici (ufficialmente non dichiarati) a ridosso della frontiera russa. L’allargamento della Nato andava quindi stoppato subito, puntando anzi all’arretramento delle armi nucleari Usa in Europa. Xi Jinping ha preso nota.

Come prima risposta, ha evitato di appiattirsi sulla posizione russa. Per esempio astenendosi alle Nazioni Unite sulla risoluzione che condannava l’invasione. Poi ha lanciato segnali diplomatici, pubblici e riservati, per ostentarsi disponibile a una mediazione che portasse al rapido cessate-il-fuoco sul fronte ucraino. Infine, sulla stampa e sui media cinesi appaiono articoli abbastanza critici dell’aggressione russa. Senza perciò dismettere il tono duro nei confronti degli americani. Da dove derivano preoccupazione e insieme prudenza cinese? Esistono alcune questioni di principio e altre d’occasione, legate alla stretta attualità. Quanto alle prime. La Repubblica popolare non vuole la guerra. In Asia ma anche nel resto del mondo. Oggi teme specialmente la guerra economica, non a caso l’arma impugnata dagli Stati Uniti contro la Russia. Con sanzioni assai penetranti che minacciano di stendere al tappeto non solo i russi ma anche i paesi che con Mosca hanno strutturate relazioni commerciali, non solo energetiche.

Una recessione mondiale è perfettamente possibile proprio mentre le economie dei paesi trainanti, Cina e Stati Uniti in testa, parevano riprendersi dagli shock asimmetrici prodotti dal virus. E siccome a Pechino salute economica significa salute e stabilità politica, questa prospettiva risulta particolarmente inquietante. Tanto più a pochi mesi dal congresso del Partito comunista cinese, che dovrebbe confermare e rafforzare nel suo mandato il presidente Xi Jinping. Inoltre, sul piano geopolitico, il possibile collasso economico e geopolitico della Russia dovuto a una sconfitta militare, con conseguenze non immaginabili sulla tenuta stessa dello Stato russo, significherebbe per Pechino perdere l’unico vero, decisivo alleato. Non è certo avendo al fianco Pakistan e Corea del Nord che la Cina può pensare di tenere a bada gli americani. Per quanto la diffidenza nei confronti di Mosca sia un dato permanente della visione cinese del mondo, l’accoppiamento tattico sancito nel 2014, quando Putin venne a Pechino con il cappello in mano essendo stato respinto dall’Occidente in Ucraina, è troppo importante per non provare a salvarlo. Almeno nella facciata.

Infine, il buco nero in Ucraina, possibilmente moltiplicato dall’analoga destabilizzazione in Russia, significherebbe la fine delle vie terrestri della seta che dalla Cina puntano, via Asia centrale, ai mercati e ai produttori europei. Nel clima economico già compromesso dal virus e dalle sanzioni americane alla Cina, la guerra russo-ucraina potrebbe fungere da detonatore capace di far esplodere le numerose mine piazzate lungo il percorso delle vie della seta. Progetto al quale Xi Jinping ha vincolato il suo nome. Quanto alla contingenza. Alcuni sostengono che Pechino potrebbe profittare della distrazione – molto relativa – americana in Europa per attaccare e conquistare Taiwan. Estremamente improbabile. Primo: perché lo sviluppo delle forze armate cinesi non ha ancora raggiunto lo stadio necessario a prendersi un simile rischio. Secondo: perché la conseguenza quasi immediata della sfida all’America nei Mari cinesi sarebbe la terza guerra mondiale.

Sarà interessante osservare se in questo clima arroventato americani e cinesi vorranno profittare della crisi russa per riprendere a dialogare seriamente. Qualcuno a Washington comincia a suggerirlo pubblicamente, altri lo stanno già praticando in via riservata, attraverso vari canali secondari. Ciò significherebbe l’inizio della fine per la coppia sino-russa. Mosca e Pechino stanno insieme non perché vanno d’accordo, ma in quanto consapevoli che la strana coppia consente ad entrambe di influire sull’America. Manipolazione reciproca. Ma se la guerra continua e si inasprisce, questo doppio meccanismo perderebbe la sua ragion d’essere. La parola passerebbe alle armi, con effetti difficilmente prevedibili. Noi europei cominciamo a renderci conto di essere le vittime sacrificali di questo scontro al vertice della potenza mondiale. Prima di rischiare la guerra atomica, cinesi, russi e americani saranno tentati di scaricare su di noi le tensioni che li dividono. È ora di allacciare le cinture di sicurezza.