La guerra della Russia in Ucraina sta disegnando un nuovo mondo, fatto di nuove alleanze e di una nuova diplomazia, non più guidata dall’economia e dal business ma dalla politica e dagli interessi di sicurezza. Molti paesi asiatici – soprattutto nel sud-est asiatico – hanno finora mantenuto una posizione di neutralità rispetto al conflitto, perché lo guardano da lontano, come una faccenda regionale che riguarda il disordine europeo. Ma c’è anche chi, invece, ha cambiato completamente la sua prospettiva e la sua strategia di politica estera. Sin dalle prime fasi della guerra in Ucraina, il Giappone guidato da Fumio Kishida è uscito dall’isolamento diplomatico in cui si era ritirato soprattutto dopo le dimissioni dell’ex primo ministro Shinzo Abe, il più longevo dei leader sin dal Dopoguerra. L’esecutivo di Kishida ha deciso di aderire a quasi tutte le sanzioni occidentali contro la Russia, si è esposto nelle dichiarazioni pubbliche, ha espulso i diplomatici russi sul proprio territorio, ha inviato armi non offensive (anche parecchie attrezzature che hanno attirato critiche per la loro scarsa utilità, per esempio le «mascherine smart», un tipo di protezione anti-Covid molto tecnologico che traduce in un’altra lingua le parole di chi la indossa). Per un paese di solito molto restio all’accoglienza degli immigrati, questa volta Tokyo ha deciso di accogliere il maggior numero possibile di rifugiati ucraini. Anche l’opinione pubblica giapponese, secondo i sondaggi, appoggia la decisione.
Nel 2014, dopo l’invasione della Crimea, il Giappone non era stato così netto. L’allora primo ministro Shinzo Abe aveva scelto la strada della diplomazia, di lasciare un canale di dialogo aperto con Mosca, per via di una questione che da decenni ormai determina la postura internazionale giapponese. Russia e Giappone, alla fine della Seconda guerra mondiale, non hanno mai firmato un trattato di pace. C’è stata soltanto una dichiarazione, nel 1956, che però non ha mai risolto il problema di quelle che Mosca chiama isole Curili e Tokyo Territori del nord: un gruppo di isole nell’arcipelago che unisce l’Hokkaido, la regione più settentrionale del Giappone, e la penisola della Kamchatka, l’estremo oriente russo. A chi appartengano quelle isole è conteso, e Abe era riuscito a intavolare un negoziato con Putin che era andato avanti per anni.
La presa di posizione del governo Kishida sulla guerra d’invasione russa in Ucraina ha definitivamente affossato la possibilità di un accordo. La Russia ha emesso un divieto d’ingresso nel paese per 62 figure istituzionali giapponesi, compreso il primo ministro. Il Giappone ha ricominciato a definire le isole contese come «isole occupate illegalmente». In realtà le trattative tra i due paesi erano finite già da un pezzo: nel 2019, quando sembrava che fosse arrivato finalmente il momento di un accordo, il Cremlino aveva fatto saltare il tavolo dei negoziati, per ragioni ancora non chiare. Secondo fonti del governo giapponese, Putin non aveva mai voluto davvero accordarsi con Tokyo: la sua era soprattutto una «recita diplomatica».
Il Giappone di Kishida sta cambiando, e non solo nel suo rapporto con la Russia. Perché il governo di Tokyo ha anche iniziato una campagna diplomatica tra i paesi del Pacifico, per reclutare sempre più paesi nella coalizione anti-Mosca. Secondo gli osservatori, l’obiettivo di Kishida è far tornare il Giappone centrale, il punto di riferimento dell’Occidente a oriente, e rafforzare un’alleanza di paesi «che la pensano allo stesso modo» contro le autocrazie e quei leader «che vogliono modificare unilateralmente lo status quo». Vuol dire: contro la Russia e contro la Cina. Il primo ministro giapponese ha dedicato la prima parte della sua tradizionale missione durante la Golden week – le festività nipponiche della prima settimana di maggio – a un viaggio nel sud-est asiatico. Tokyo ha cercato di convincere Indonesia, Vietnam e Thailandia, i tre paesi che hanno imboccato la strada della neutralità nel conflitto in Ucraina, del fatto che quello che ha fatto la Russia non è molto diverso da quello che sta cercando di fare la Cina, per esempio, nel Mar cinese meridionale. La militarizzazione dell’area va avanti da anni, non è cruenta come i bombardamenti di Putin, ma l’obiettivo del leader cinese Xi Jinping è più o meno lo stesso: aumentare l’influenza e il controllo.
Subito dopo il 24 febbraio sembrava quasi che l’obiettivo numero uno della Casa Bianca in politica estera fosse tornata la Russia, dopo anni di priorità data al contenimento della Cina. Ma l’attività diplomatica della prima e della terza economia del mondo di queste settimane svelano il vero obiettivo: la costituzione, dall’America all’Asia orientale passando per l’Europa, di una coalizione contro i paesi aggressivi e autoritari che si muovono secondo le loro regole, la legge del più forte. Il presidente americano Joe Biden ha compiuto il suo primo viaggio in Asia da quando è diventato presidente: ha iniziato dalla Corea del sud – dove il presidente neoeletto Yoon Suk-yeol vuole rafforzare i rapporti bilaterali con Stati Uniti e Giappone – e poi ha proseguito a Tokyo. È la costituzione dell’ennesimo acronimo, l’Ipef, l’Indo-Pacific Economic Framework, una cornice economica all’interno della quale Washington vuole rafforzare la sua presenza nel Pacifico contrastando le attività cinesi. E su questo il Giappone appare sempre più allineato all’America. Durante il primo colloquio in sei mesi tra il ministro degli Esteri giapponese, Yoshimasa Hayashi, e la sua controparte cinese, Wang Yi, il capo della diplomazia nipponica ha chiesto a Pechino di assumere un ruolo «responsabile» nella guerra in Ucraina. La Cina non ha ancora preso una posizione netta da quando la Russia ha iniziato l’invasione il 24 febbraio scorso, anzi: questa ambiguità è servita a Pechino per aumentare la propaganda anti-americana e anti-Nato. All’ultima riunione dell’Alleanza atlantica a Bruxelles, per la prima volta nella storia ha preso parte anche il capo di stato maggiore del Giappone, il generale Koji Yamazaki. Difficile immaginare un messaggio più chiaro per Russia e Cina.