Appena vinte le elezioni, la destra uribista colombiana già ha annunciato di cosa si occuperà nei prossimi anni: di vanificare l’accordo di pace firmato dal presidente uscente Manuel Santos e la narcoguerriglia delle Farc.
Ivan Duque, candidato dell’estrema destra, eletto con il 54 per cento dei voti, figlioccio politico dell’ex presidente Alvaro Uribe, ha scritto che il suo governo «correggerà» il patto che ha permesso il disarmo e la conversione in partito politico dell’ex guerriglia Farc. Lo disattenderà, si suppone, visto che l’accordo è storicamente avvenuto e i suoi passi concreti sono ormai compiuti, comprese la consegna delle armi da parte dei guerriglieri e la loro iscrizione alle liste elettorali.
Duque ha detto: «Io non governo coi nemici». Chiusura totale quindi di tutti i canali ufficiali e informali che hanno permesso il miracolo politico dell’accordo di pace con la guerriglia che da cinquant’anni combatteva in Colombia. Ora che le Farc hanno consegnato le armi e quindi dimostrato di accettare il gioco, un passo indietro del nuovo governo può essere pericoloso, essere interpretato dai più come un tradimento della parola data.
E quindi la Colombia, appena uscita da una campagna elettorale in cui si è parlato sostanzialmente solo di accordo di pace con le Farc, si ritrova infiammata nuovamente dalla solita furiosa lite: dovevamo o non dovevamo firmare quel patto con i guerriglieri?
L’accordo della discordia – che è ormai stato recepito dall’ordinamento colombiano, è anche valso un Nobel per la Pace all’ex presidente della Repubblica Juan Manuel Santos ed è stato bocciato a sorpresa da un referendum popolare non vincolante – è ancora l’asse principale del dibattito politico colombiano.
La faticosissima pace è diventata il campo di battaglia sul quale le parti politiche misurano le loro forze. Il paese è spaccato a metà. Da una parte c’è una frazione dell’opinione pubblica formata dall’ex presidente Alvaro Uribe, acerrimo nemico della trattativa con le Farc, che ritiene ideologicamente sbagliato aver trattato con le Farc e che comunque contesta nel merito i singoli punti del testo firmato. Dall’altra ci sono tutti quelli schierati in difesa della posizione tenuta in merito dal governo Santos, che ritengono folle e suicida, nonché inefficace, perpetuare all’infinito la guerra militare contro la guerriglia, sostengono che «duecentomila morti possono bastare a capire che la via militare non funziona» e difendono l’accordo come unica soluzione possibile.
Ivan Duque usa molto l’argomentazione che ha contraddistinto la destra uribista: siamo favorevoli alla pace, ma non vogliamo sia fatto nessuno sconto di pena ai guerriglieri. Che è come voler dire: non vogliamo firmare la pace. Perché non si capisce come mai la guerriglia avrebbe dovuto firmare un accordo senza ottenere almeno uno sconto di pena in cambio.
Interessante sarà vedere che fine farà il tavolo di negoziati aperto all’Avana tra il governo della Colombia e l’altra grande guerriglia colombiana, l’Eln (Ejército de Liberación Nacional) che al momento sta rispettando la tregua promessa di 100 giorni.
Il grande trionfatore delle elezioni colombiane è Alvaro Uribe, l’ex presidente protagonista indiscusso della guerra all’accordo di pace. Far saltare gli accordi di pace con i guerriglieri è una specialità di Uribe.
Ogni volta che si è tentata negli anni una soluzione per via politica del conflitto e si è avviata una trattativa, la mediazione è saltata. Spesso per contrasti interni alle Farc. Spesso perché l’ala militarista del governo, di cui Uribe è sempre riuscito ad essere l’anima, si è adoperata perché saltasse. Ogni volta la mediazione si è arenata prima di arrivare a buon fine. Ogni volta, tranne l’ultima.
Per riuscire a non far saltare il tavolo, per sostenere l’ex presidente Santos nel raggiungimento del patto, si sono mosse le diplomazie latinoamericane e la diplomazia vaticana.
Ora molti in Colombia si chiedono se Duque farà con Uribe quello che fece l’ex presidente Santos. Gli volterà le spalle? Santos ci riuscì e a lui portò fortuna. Figlio della più alta borghesia di Bogotà, Santos aveva debuttato in politica come liberale e poi era slittato a destra accanto a Uribe.
Presidente della repubblica da solo tre giorni, ricevette l’allora presidente venezuelano Hugo Chávez. Da politico pragmatico decise che per tessere la difficilissima trattativa con i guerriglieri avrebbe chiesto la mediazione venezuelana, utile per il rapporto di protezione e appoggio, non solo logistico, che il leader venezuelano garantiva alla leadership della guerriglia. Spalancare la porta a Hugo Chávez significava però sbatterla in faccia da Alvaro Uribe. Santos lo sapeva benissimo. E scelse Chávez. Uribe si sentì tradito. E gli dichiarò guerra. Oggi si gusta la rivincita.