Il passaggio da un anno all’altro offre lo spunto per riflettere sui fatti e gli eventi più recenti e, soprattutto per guardare al futuro, per individuare le sfide che le autorità di un paese dovranno affrontare nell’anno nuovo. Quali saranno allora i temi che domineranno l’attività del Consiglio federale nel 2022? Per la sua importanza in termini di difesa della salute pubblica e di salvaguardia del tessuto economico, la lotta contro la pandemia sarà probabilmente ancora dominante e farà slittare in secondo piano un buon numero di dossier importanti. Tra questi, uno merita una particolare attenzione: sono i rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea, rapporti che incidono in maniera significativa sia sulla posizione internazionale della Svizzera che sulla sua situazione interna.
Come sono oggi le nostre relazioni con l’UE? Sono in uno stato desolante. Dopo lo scorso 26 maggio, giorno in cui il Consiglio federale decise di porre fine al negoziato in vista di un accordo istituzionale, tra Bruxelles e Berna è emerso un periodo d’incomprensione, di sfiducia e d’incertezza. Gli attuali accordi bilaterali non vengono aggiornati ed eventuali nuovi accordi non vengono né negoziati né conclusi. I settori della ricerca e della formazione sono esclusi dai programmi europei, con gravi danni per tutti gli operatori dei due settori. L’accordo sul reciproco riconoscimento dei prodotti della medicina non è stato rinnovato: il settore deve così far fronte a ritardi ed a spese supplementari che danneggiano le sue esportazioni sul mercato unico europeo. La situazione rende insicura l’economia, che comincia a studiare la possibilità di fare investimenti all’estero, e rischia di erodere rapidamente il tessuto costruito con le intese bilaterali, trasformando così la Svizzera in uno Stato terzo nei suoi rapporti con l’UE, con uno statuto simile a quello dei paesi europei periferici che non fanno ancora parte dell’Unione.
Di fronte a questa situazione, il Consiglio federale ha intrapreso ben poco di sua iniziativa. Ha cercato di riprendere la legislazione europea là dove era possibile, in modo da evitare possibili fonti di conflitto. Alcune settimane or sono ha dato mandato al segretario di stato Mario Gattiker, fino alla fine del 2021 responsabile della Segreteria di stato della migrazione, di approfondire l’analisi delle differenze normative fra la Svizzera e l’UE. Con l’intento di compensare il vuoto creato con l’UE, il governo ha pure concluso un accordo finanziario con Londra e un accordo di cooperazione nella ricerca con Washington. Le due intese non sono però tali da sostituire il rapporto fondamentale e strategico che la Svizzera intratteneva fino a poco tempo fa con l’Unione europea. Infine, per risolvere le future controversie, il Consiglio federale sembra ora voler rinunciare ad un accordo unico globale, come prevedeva il progetto di accordo istituzionale, e optare per singole soluzioni da trovare all’interno di ciascun accordo bilaterale.
Davanti all’assenza di azioni concrete da parte del governo sono fiorite le iniziative di partiti, associazioni e privati. Michael Ambühl, ex segretario di stato per gli affari esteri e oggi professore al Politecnico di Zurigo, ha proposto un’azione destinata a sfociare nei cosiddetti Bilaterali III. L’Operazione Libero ed i Verdi hanno dichiarato di voler lanciare un’iniziativa popolare per costringere il Consiglio federale a trattare con Bruxelles. La Commissione di politica estera del Consiglio nazionale ha tentato, ma senza successo, di far raddoppiare dalle Camere federali il miliardo di coesione destinato a finanziare progetti nei paesi meno sviluppati dell’UE. L’intento era di ottenere in cambio l’associazione della Svizzera ai programmi europei di ricerca e di formazione. Dal canto suo, il partito socialista, il più attivo tra i partiti di governo nel settore europeo, ha fatto una proposta in due fasi, la prima centrata sul quadro entro il quale dovrebbe svolgersi il dialogo politico con Bruxelles, la seconda sulla ricerca di soluzioni ai punti controversi.
Lo scorso 15 novembre, 6 mesi dopo la rottura del negoziato sull’accordo bilaterale, un lume di speranza si è acceso a Bruxelles. Il capo della diplomazia elvetica, il consigliere federale Ignazio Cassis si è incontrato con il vicepresidente della Commissione europea Maros Sefcovic, detentore del dossier Svizzera. Sefcovic chiese a Cassis di fare proposte concrete sulle divergenze rimaste in sospeso dopo l’interruzione del negoziato e di presentarle in un incontro previsto a gennaio durante il Forum economico di Davos. Il Forum è stato rinviato, ma Bruxelles chiede che le proposte vengano comunque presentate entro la fine di gennaio.
Quali saranno le aperture del Consiglio federale? È difficile fare previsioni. Per trovare una via d’uscita che salvi la via bilaterale, ci vuole molta volontà politica e tanto coraggio. Non si può continuare a guadagnare tempo e, come alcune voci affermano, scegliere di rinviare il tutto a dopo le elezioni nazionali del 2023. E non si può contare sull’aiuto dei principali paesi confinanti con la Svizzera. La Germania, l’Italia e la Francia, che da gennaio assumerà la presidenza semestrale europea, hanno governi molto impegnati in difesa dell’integrazione europea e poco inclini a fare concessioni a paesi non membri dell’Unione. Occorrono quella volontà e quel coraggio che sono mancati fin ora e che possono aiutare a difendere gli interessi dell’economia, delle aziende, degli istituti universitari, dei ricercatori, degli studenti e, in fin dei conti, di tutta la popolazione, attraverso il tenore di vita e la consapevolezza che molti hanno di essere una parte integrante del continente europeo.