Una riforma fiscale indigesta

La sinistra respinge l'imposizione delle imprese III votata dal Parlamento, ma l’UE fa pressione per sopprimere favori fiscali cantonali alle aziende estere in Svizzera
/ 17.10.2016
di Ignazio Bonoli

Come annunciato da tempo, il Partito socialista, i Verdi, i sindacati e altre organizzazioni di sinistra hanno lanciato il referendum contro la riforma III della tassazione delle imprese, votata in giugno dal Parlamento nazionale. A inizio ottobre, il comitato referendario ha già depositato alla Cancelleria federale 56’000 firme. Anche la data per il voto popolare era già stata prevista e con ogni probabilità sarà il 12 febbraio 2017.

Ancora un tema di difficile interpretazione e di impatto che va oltre i confini nazionali. Infatti, la riforma della tassazione delle imprese risponde alle critiche che l’Unione Europea aveva più volte formulato nei confronti di quei cantoni che concedono facilitazioni fiscali a quelle società estere che scelgono di istallarsi sul loro territorio.

Che il tema delle minori entrate fiscali fosse dominante nelle discussioni lo si era già visto prima e durante il dibattito parlamentare. Alcune stime indicavano attorno ai 7-8 miliardi di franchi all’anno le minori entrate fiscali, tenuto conto delle imposte federali, cantonali, comunali e di quelle dei dipendenti (vedi «Azione» del 27.6.2016). Il referendum, oltre alla questione di principio (parità di trattamento fiscale per tutti) punta proprio su queste perdite fiscali per cercare di ottenere il necessario consenso popolare. Per i referendisti la riforma sarebbe troppo cara: alla sola Confederazione verrebbero a mancare circa 1,3 miliardi di franchi, compresi i 900 milioni da versare ai cantoni.

Ovviamente cantoni e comuni sarebbero pure toccati dal provvedimento e le compensazioni versate dalla Confederazione non risolverebbero il problema. Tanto più che i cantoni dovrebbero anche ridurre l’aliquota generale sugli utili delle imprese. Se questa aliquota fosse per tutti del 16 per cento, le perdite globali potrebbero raggiungere i 2 miliardi di franchi. Resta comunque l’incognita dell’eventuale partenza di imprese verso l’estero.

Ma un’ulteriore incognita è costituita da alcuni aspetti della riforma che sono contestati e potrebbero non essere accettati nelle trattative con l’UE. Quindi tante discussioni, ma non è affatto sicuro che la manovra fiscale possa andare in porto e incontri poi i favori dei partner europei. Quale potrebbe allora essere l’alternativa in caso di un no popolare o da parte dell’UE? Il problema non è di facile soluzione. La sinistra ha fatto sapere di voler prendere posizione in merito in dicembre. Alcune linee di pensiero sono comunque già state espresse: limitare a 500 milioni al massimo le perdite fiscali per la Confederazione, evitando di rimborsare ai cantoni le loro perdite fiscali.

Ecco allora rinascere un vecchio postulato socialista, quello dell’introduzione di un’imposta sui guadagni in capitale. Imposta però già respinta dal popolo anche in un recente passato, per cui difficilmente potrebbe essere usata nella campagna referendaria. Migliori possibilità potrebbe avere un aumento dell’imposta sui dividendi da partecipazioni importanti. I cantoni dovrebbero però limitare l’imposta al 50% dell’aliquota ordinaria per evitare la doppia imposizione degli utili (imposta ordinaria + imposta sui dividendi). 

I cantoni che praticano la riduzione dell’imposta sugli interessi sul capitale proprio potrebbero però aumentare la tassazione dei dividendi oltre il 60% deciso dal Parlamento. Proposta che incontrerebbe una forte opposizione negli ambienti economici, soprattutto fra le piccole e medie aziende. I cantoni hanno già digerito con difficoltà la riforma in discussione e non vorrebbero tornare ad occuparsi di un aumento generale delle impose per tutte le aziende. E questo succederà in ogni caso già per le multinazionali finora privilegiate, mentre probabilmente le piccole e medie aziende nazionali pagheranno qualcosa in meno. 

Con la riforma sono in gioco miliardi di franchi di entrate, ma anche 150’000 posti di lavoro, ben remunerati. Una caduta del progetto creerebbe un’incertezza fiscale dannosa all’immagine della Svizzera e quindi anche dei cantoni.