Una partita ricca di paradossi

Ucraina - Il contenzioso fra russi e americani verte sull’ingresso del paese nella Nato, un’eventualità inattuale, in realtà in gioco c’è una nuova architettura di sicurezza europea
/ 21.02.2022
di Lucio Caracciolo

La partita per l’Ucraina fra Russia e America (più Nato) è piena di paradossi. Il principale è che il contenzioso verte su qualcosa di totalmente inattuale: appunto l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Per i russi da evitare a ogni costo, per gli americani possibilità da tenere sempre aperta. In verità, in gioco c’è molto di più: l’architettura di sicurezza europea. Con i russi che vorrebbero costruirne una nuova, più o meno sul modello di un’organizzazione di sicurezza collettiva, quindi con loro dentro e in un ruolo di speciale rilievo; e gli americani che invece non intendono recedere dal modello attuale, ovvero dal sistema Nato, struttura del loro informale impero europeo.

Questa partita maggiore coinvolge e divide gli europei. La faglia passa grosso modo per quella che era la bipartizione della guerra fredda, ma a parti invertite. Gli ex satelliti di Mosca non vogliono saperne di integrare la Russia nella sicurezza europea. Da concepire anzi contro il Cremlino. Il loro motto potrebbe essere quello celebre del primo segretario della Nato, Lord Ismay: Americans in, Russians out, Germans down. Gli ex e in parte ancora attuali satelliti di Washington, ormai liberi di muoversi più ampiamente causa crisi della presa americana sull’Europa, affermano invece che la Russia debba essere coinvolta nella gestione collettiva del continente. Per dirla con Scholz, non ci può essere pace da noi senza la Russia. Su questa linea anche francesi, italiani, spagnoli.

Tali paradossi confermano l’importanza straordinaria della posta in gioco. Ma con notevoli asimmetrie. Putin si gioca tutto. Per lui, per il suo regime e per la Federazione Russa è questione di vita o di morte. Washington considera importante riportare la Russia a più miti consigli, ma non vede in gioco interessi vitali. Di qui anche la retorica piuttosto traballante di Biden, che mentre evoca il rischio della terza guerra mondiale avverte che in tal caso gli Stati Uniti vi parteciperanno con delle sanzioni.

La prima vittima di tanta tensione è ovviamente l’Ucraina. La pressione militare e diplomatica russa e l’enfasi americana sul rischio di guerra aperta hanno prodotto in queste settimane fughe di capitali e di capitalisti (oligarchi) che stanno pesando fortemente sulla qualità della vita degli ucraini e sulle prospettive del loro fragile Stato. Se poi la guerra del Donbass dovesse entrare in una nuova fase, più acuta, questa tendenza diventerebbe sempre più grave.

Putin ha detto di non volere la guerra annunciata dagli americani. Non ha infatti alcun interesse a invadere il vicino e consanguineo Stato ucraino, dove vivono fra l’altro centinaia di migliaia di cittadini russi, più milioni di russofoni più o meno russofili. Ma se Kiev, appoggiata da americani, britannici e altri occidentali, decidesse di aumentare la pressione sulle repubblichine pro-russe di Luhansk e di Donetsk, il Cremlino reagirebbe rafforzando i suoi satelliti locali. E tenendo sempre di riserva la carta del riconoscimento/annessione delle repubbliche ribelli.

L’obiettivo russo è di trovare una soluzione basata sugli accordi di Minsk, stipulati quando l’Ucraina si trovava in grave difficoltà. In particolare, tali accordi mediati da francesi e tedeschi prevedono un notevole grado di autonomia per le regioni dell’Ucraina orientale di tono essenzialmente filo-russo. In questo modo Mosca otterrebbe, senza sparare un colpo, di avere una quota di influenza notevole a Kiev, dove oggi comandano i filo-occidentali, o meglio gli anti-russi. Alla fine dei conti, l’Ucraina che Putin vuole sarebbe di fatto neutralizzata, con tendenza a rientrare progressivamente nella sfera imperiale moscovita.

È importante anche considerare che dentro l’Ucraina disegnata nei confini sovietici, diventata indipendente nel 1991, vi sono diverse mini-Ucraine. Una delle quali, di speciale rilievo strategico, è la Crimea, con la base navale di Sebastopoli, fondamentale per l’accesso al Mediterraneo via Mar Nero. Infatti presa da Putin nel marzo 2014. Base che i russi potrebbero evacuare solo dopo aver combattuto e perduto una guerra mondiale. Sul fronte opposto c’è la Galizia, regione occidentale e fortemente russofoba. La sua capitale è Leopoli, città di tono e architetture centro-europee, già integrata nell’impero asburgico e nella Polonia. Qui dominano i nazionalisti ucraini, comprese formazioni estremiste, alcune di segno neonazista. La scelta americana, britannica, olandese di trasferire a Leopoli il personale delle loro ambasciate che ha lasciato Kiev nei giorni di massima tensione russo-americana, possiede un evidente significato simbolico.

Prepariamoci a una lunga fase di tensione fra Russia e America, quindi di divisioni dentro la Nato. In questo periodo sarà interessante notare quanti e quali assetti i paesi atlantici sposteranno verso est, e viceversa i russi verso ovest. Mentre sottobanco continuerà il negoziato strategico fra russi e americani. Destinato a saltare se la tensione supererà la soglia di guardia. Ciò che i falchi, su entrambi i fronti, ardentemente sperano.