Prima della pandemia, stavamo prevedendo dei cambiamenti riguardo al nostro modo di lavorare ed erano in corso alcune tendenze chiare, tra queste, una maggiore sensibilità verso l’ambiente e la spinta alla digitalizzazione. Nell’ultimo anno e mezzo, complice la paura che tutti abbiamo provato rispetto al futuro incerto, i processi di cambiamento in atto hanno avuto una accelerazione che si è manifestata in concreti cambiamenti, inclusi nuovi modi di vivere e lavorare. Le previsioni, che erano di lungo termine, immediatamente, hanno preso vita a una velocità mai vista prima, anche concretizzandosi nel corto termine. Molte persone hanno già consolidato nuovi atteggiamenti nei consumi, per esempio la spesa online, proposta già presente prima, ma oggi diventata lo standard.
Le imprese stanno vivendo un momento fantastico, si stanno immaginando prodotti ed esperienze di consumo diverse dal passato, che guardano al consumatore che emergerà dalla pandemia.
Carla Buzasi, direttore dell’istituto WGSN introduce una ricerca recente affermando che «in questo momento di turbolenza, le relazioni umane plasmeranno veramente le nostre vite». Un forte connettore di relazioni umane è il mondo digitale, e in esso la tendenza a imitare i sentimenti più diffusi o accettati. Questo spiega i tassi elevati di contagio emotivo digitale, che spingono un messaggio lanciato in un qualche luogo del mondo ad attirare l’attenzione di una parte degli abitanti del pianeta, creare una tendenza, oppure sparire dopo poche ore. Al momento, la diffusione di messaggi efficaci si basa su alcuni «sentimenti globali» come l’incertezza ambientale e finanziaria.
Sul lato ambientale, le persone hanno maturato un senso di paura in forma di «eco-ansia», cioè preoccupazione verso la crisi climatica. Sul lato finanziario, le preoccupazioni di non farcela ad arrivare a fine mese erano già presenti prima della pandemia ed oggi sono aumentate di intensità. Percepiamo quindi una sorta di «contagio da paura» verso alcuni grandi temi e anche a causa di alcuni cambiamenti arrivati in fretta e che hanno modificato il nostro stile di vita. «In questi tempi», dice la psicologa Cristina Milani «le persone bramano stabilità, senso della routine e contatto umano, eppure sembra che la società stia ottenendo l’opposto». Il risultato contingente è che «siamo una società desincronizzata, in cui le persone continuano a fare molte delle stesse cose che facevano prima dentro contenitori di tempo delimitati, ma ora lo fanno contemporaneamente». Per intenderci, prima si lavorava dalle 9 alle 5 in ufficio e alle 7 si ascoltavano le notizie a casa davanti a un piatto di minestra. Ora si ascoltano le notizie in continuazione e si lavora 24 ore al giorno, dove capita o dove è necessario lavorare. Questo effetto di desincronizzazione, prosegue la psicologa «gioca un ruolo nella disgregazione delle comunità a causa della mancanza di un’interazione umana coerente, continuativa e pianificata». La «routine ci manca» perché era un «fantastico strumento di regolazione della nostra vita».
Nel frattempo, le persone hanno sviluppato una coriacea capacità di resistere, assorbire, recuperare e adattarsi con successo alle avversità e ai cambiamenti delle proprie condizioni di vita, tanto che la parola resilienza viene usata a sproposito addirittura dagli influencer di Instagram, senza rendersi conto, aggiunge Cristina Milani, che «l’ossessione malsana di perseverare o andare avanti sta diventando un distintivo d’onore, invece che un problema», siamo esseri umani e non siamo tenuti a «fare i duri» a tutti i costi, tanto che spesso, troppa resilienza, si trasforma nel paradosso di «costruire finti pensieri ed emozioni positive durante i periodi difficili». Troppa positività può essere fuorviante e «inseguire la felicità può farci ossessionare dai sentimenti di non felicità». Le emozioni negative sono molto utili, laddove stimolano come risposta l’emergere di emozioni positive, ciò spiega la tendenza attuale, dopo un periodo preoccupante, verso l’ottimismo che si tradurrà in una nuova attenzione ai sentimenti di gioia e piacere.
Stiamo cercando di ridefinire il nostro ciclo di lavoro anche ipotizzando una nuova relazione con le nostre comunità, con le quali desideriamo tornare a fare attività in presenza fisica. Questo si traduce nella ricerca di un modello di lavoro che consenta di attuare la formula «meno ore di lavoro + più tempo a casa = migliore produttività». Il legante di tutti questi cambiamenti sembra essere la voglia di ottimismo. Questa tendenza è presente nel lavoro e nella vita sociale e sta guidando il business.
Ci vorrà del tempo per consolidare un nuovo rapporto con i consumi, che saranno guidati da proposte chiare e che ci consentiranno di semplificare le nostre decisioni. La complessità sta diventando un nemico a livello globale in un mondo che guarda al futuro ricercando stabilità e una boccata d’aria fresca, un nuovo ottimismo. Le tendenze dietro l’angolo sembrano essere la semplicità nel commercio, il ritorno al contatto umano e un sentimento diffuso di ottimismo.