A missile si risponde con missile. L’approccio della Corea del Sud – e anche dell’America – ai test nordcoreani, che nell’ultimo anno hanno raggiunto una frequenza inquietante, sta cambiando. La strategia del nuovo presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol è molto diversa da quella del suo predecessore, il democratico Moon Jae-in. Niente più «sunshine policy», la politica di apertura e dialogo nei confronti del regime di Pyongyang. In una recente intervista alla Cnn, Yoon – che si è insediato il 10 maggio scorso – ha detto che il dialogo portato avanti «solo per sfuggire temporaneamente alle provocazioni o al conflitto con la Corea del Nord è sbagliato; questo tipo di approccio negli ultimi cinque anni si è dimostrato un fallimento».
La Corea del Nord ha effettuato test missilistici una ventina di volte sin dall’inizio del 2022 e da mesi ormai si parla di una sospetta attività nell’area di Punggye-ri, il sito degli esperimenti nucleari situato nel nord-est del paese. È lì che sono stati eseguiti tutti i test nucleari nordcoreani (ce ne sono stati sei dalla fine della Guerra di Corea, il primo nel 2006, l’ultimo il 3 settembre del 2017). E di recente, dall’analisi delle immagini satellitari, è stato rilevato che i nordcoreani stanno lavorando a nuovi tunnel a Punggye-ri, il sito che dopo gli accordi tra l’allora presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un era stato parzialmente demolito. Un eventuale esperimento atomico da parte di Pyongyang aprirebbe una nuova crisi per la stabilità della regione e metterebbe ancora una volta in discussione tutte le politiche diplomatiche finora impiegate per risolvere la questione nordcoreana. Le sanzioni internazionali, quelle approvate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu negli anni di maggiori provocazioni belliche da parte della Corea del Nord, e le sanzioni unilaterali, soprattutto quelle americane, non bastano più. E a quanto pare non basta più nemmeno il dialogo.
Si ricomincia quindi con la strategia della deterrenza. Dopo l’ultimo test missilistico nordcoreano, quando Pyongyang ha dato l’ordine di lanciare otto missili dalla sua costa orientale, la Corea del Sud e gli Stati Uniti, che effettuano regolarmente esercitazioni militari congiunte nell’area della penisola, hanno lanciato altrettanti missili terra-terra. È la seconda volta che i due alleati si danno da fare per mostrare i muscoli e quindi minacciare ritorsioni alla Corea del Nord, che però finora non è sembrata intimidita. Nemmeno quando i due alleati hanno fatto volare una ventina di aerei da combattimento sul Mare Giallo, a ovest della penisola coreana.Sotto la leadership di Kim Jong-un la Corea del Nord è riuscita a giungere dove avrebbe sempre voluto arrivare. Ha ottenuto il riconoscimento formale da parte della comunità internazionale quando, il 12 giugno del 2018, per la prima volta nella storia un presidente americano in carica, Donald Trump, ha incontrato un leader nordcoreano. Dal punto di vista dell’arsenale missilistico e nucleare la leadership di Pyongyang afferma di avere la capacità di produrre missili balistici intercontinentali di ultima generazione, anche dotabili di testate nucleari. Per decenni gran parte delle sanzioni internazionali sono state eluse dalla Corea del Nord grazie a un efficace sistema di amicizie diplomatiche e supporto logistico da parte di paesi alleati. Tutto il denaro pompato dentro ai confini nazionali è servito non a sfamare i cittadini e a condurre riforme economiche efficaci, ma a far sopravvivere il regime e il suo potenziale bellico.
Parlando durante un evento a Seul, il presidente sudcoreano Yoon ha detto che i programmi nucleari e missilistici della Corea del Nord «hanno raggiunto un livello tale da essere una minaccia non solo per la pace nella penisola coreana, ma anche nel nord est asiatico e nel mondo». L’America e i suoi alleati del Pacifico, Corea del Sud e Giappone, sanno che più Pyongyang aumenta la pressione e fa salire la tensione, più si allontana la possibilità di risolvere definitivamente, dopo settantasette anni, la cosiddetta questione nordcoreana. Anche perché il Coronavirus e la guerra in Ucraina non hanno fatto altro che avvicinare sempre di più Pyongyang ai suoi due tradizionali paesi amici: la Cina e la Russia.
Pechino e Mosca, per la prima volta dal 2006, hanno usato il loro diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite di fine maggio per fermare una risoluzione che avrebbe imposto nuove sanzioni contro Pyongyang. La decisione è stata molto criticata da parte occidentale ma è stata soprattutto simbolica, per mostrare che anche nell’istituzione più importante dell’Onu, il suo braccio operativo, c’è un allineamento tra potenze autoritarie e antiamericane.Per la sua sopravvivenza la Corea del Nord ha bisogno di tutti gli alleati possibili. Nei due anni di pandemia i funzionari nordcoreani hanno sempre negato di aver avuto casi di Covid nel paese, grazie anche a una tempestiva strategia di chiusura completa dei confini. Poi all’improvviso, all’inizio di maggio, la leadership di Kim Jong-un ha annunciato che l’epidemia era arrivata in Corea del Nord. Un disastro annunciato, per il fragile sistema sanitario nordcoreano e per i 25 milioni di abitanti del paese, la maggior parte dei quali malnutriti. Pyongyang ha però rifiutato l’aiuto di Seul e ha preferito quello di Pechino: nel giro di tre settimane il paese ha dichiarato il virus sotto controllo. È un gioco delle parti, dicono gli analisti e gli osservatori. Molto spesso Pyongyang fa annunci simili per poter godere degli aiuti internazionali. Allo stesso tempo, però, continua a foraggiare il suo programma missilistico e nucleare, probabilmente per rimanere in una posizione di forza in eventuali nuovi negoziati con America e Corea del Sud.
Dal punto di vista diplomatico Pyongyang continua a bilanciare il suo sostegno tra Cina e Russia, le autocrazie che potrebbero aiutarla non chiedendo nulla in cambio sul tema dei diritti umani e della denuclearizzazione. Una fonte nordcoreana, intervistata di recente dal media giapponese «Nikkei Asia», spiegava che la Corea del Nord si è quasi sempre affidata all’aiuto cinese per superare le crisi, ma non vuole essere completamente dipendente dalla Cina. È per questo che, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha giocato la carta di Mosca. In tutte le occasioni in cui in questi mesi, alle Nazioni Unite, si sono votate risoluzioni contro la Russia, la Corea del Nord ha votato a sostegno del Cremlino. Le serve. Pur non essendo dipendente economicamente dalla Russia, con cui condivide un confine molto strategico di una ventina di chilometri, la Corea del Nord fa affidamento sul paese di Putin per parecchie attività illegali e di cooperazione nel campo della Difesa. La guerra poi è stata uno spot propagandistico perfetto: Pyongyang sta usando tutte le teorie russe contro la Nato e l’America per giustificare l’aumento del suo arsenale. Nel frattempo la tensione, anche in Asia orientale, continua ad aumentare.