Una lenta parabola discendente

Usa-Russia - Dal periodo di distensione inaugurato da Reagan e Gorbaciov al muro contro muro degli ultimi anni
/ 21.02.2022
di Alfredo Venturi

Finché si tratta non si spara, dice un vecchio adagio diplomatico. Già, ma che dire se la trattativa appare inconcludente, trascinata soltanto per consentire alle parti di ricavarne qualcosa da poter vantare come un successo presso le rispettive opinioni pubbliche? All’inizio di questo 2022 ci sono stati diversi incontri fra Russia e Stati Uniti, fra Russia e Alleanza atlantica e infine fra Russia e Occidente in sede di Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa: sul tappeto la spinosissima questione dell’Ucraina, sullo sfondo l’eterna questione degli armamenti fuori controllo. Dialogo fra sordi: da una parte l’Occidente accusa Mosca di preparare l’invasione, dall’altra i russi negano la circostanza ma chiedono l’impegno occidentale a non cooptare l’Ucraina nella Nato. Intanto scandiscono il negoziato rumorosi preparativi di guerra, mentre l’Europa guarda con profonda inquietudine a quella che ne sarebbe una fra le inevitabili conseguenze: l’interruzione del flusso di gas metano proveniente dalle steppe siberiane.

È uno dei momenti più difficili nella lunga storia delle relazioni diplomatiche fra le due superpotenze, che pure ha conosciuto anche momenti di grazia. Per esempio come dimenticare il clima euforico che si registrò a Ginevra, in quei tre giorni di novembre del 1985. Fu allora che il presidente americano Ronald Reagan e il leader sovietico Michail Gorbaciov celebrarono quella che veniva entusiasticamente interpretata come la fine della guerra fredda. Gorbaciov portava sul Lemano l’immagine e la visione di una Russia completamente rinnovata rispetto alla lunga esperienza sovietica. Il nuovo segretario del partito aveva riassunto con due parole d’ordine, glasnost e perestroika, il disegno davvero rivoluzionario di pilotare il Paese verso una ristrutturazione all’insegna della trasparenza. Quanto a Reagan, ormai deposto l’anatema contro l’«impero del male», intendeva approfittare di un’occasione irripetibile per indurre la controparte ad applicare il nuovo corso a una sostanziale riduzione degli armamenti atomici.

Tutto sembrava possibile, in quel glaciale novembre di trentasette anni fa, e la storia turbinosa degli anni successivi avrebbe dato temporaneamente ragione al grande ottimismo ginevrino. Il Muro di Berlino sarebbe caduto, l’Unione sovietica, travolta dalla slavina di un riformismo inarrestabile, ben oltre le intenzioni del suo leader sarebbe arrivata al collasso. Il trionfo del liberalismo occidentale sembrava garantito e presto uno studioso americano, Francis Fukuyama, avrebbe dedicato un saggio alla «fine della storia». Che la storia in realtà fosse tutt’altro che conclusa, che in realtà la storia non possa concludersi mai, il mondo lo imparerà presto a sue spese, ma intanto torniamo a quel magico 1985. Ecco Reagan che accoglie Gorbaciov salutandolo con una lunga stretta di mano, eccolo accompagnarlo appoggiandogli l’altra mano sulla spalla all’interno della villa dove si svolgerà il primo incontro, eccoli che sorridono seduti davanti a un caminetto crepitante.

I due affettano una grande familiarità, si atteggiano a vecchi amici e così le first ladies Raissa e Nancy che secondo tradizione animano la cornice mondana dell’evento. Dopo Ginevra Reagan e «Gorbi» si vedranno tre volte ancora: prima a Reykjavik, dove negozieranno in solitudine alla sola presenza degli interpreti, quindi a Washington e infine a Mosca. Il presidente americano terrà sotto pressione il suo interlocutore sovietico, come quando nel giugno 1987, parlando a Berlino, lo inviterà apertamente ad «abbattere questo Muro». Mentre alla insistente richiesta di rinunciare alla SDI (Strategic Defense Initiative), meglio nota come scudo spaziale, risponderà sempre con un diniego: non si tratta forse di un sistema puramente difensivo? Grazie al nuovo clima instaurato a Ginevra si farà invece un decisivo passo avanti nella riduzione dei vettori a medio raggio: nel dicembre 1987, durante il loro terzo incontro bilaterale, Gorbaciov e Reagan firmeranno a Washington il trattato INF (Intermediate-range Nuclear Forces), che eliminerà un’intera categoria di armi atomiche e accantonerà la lunga crisi degli euromissili.

Un destino davvero amaro, quello del trattato INF: presto le due parti, non più Stati Uniti e Unione sovietica ma Usa e Russia, cominceranno a scambiarsi reciproche accuse di violazione. Nel secondo decennio di questo secolo un nuovo missile a medio raggio, il temibile SSC-8, arricchirà l’arsenale russo: otto lanciatori capaci di liberare ciascuno dodici testate nucleari andranno in dotazione a due reparti delle truppe d’élite. Mosca parla a sua volta di violazioni americane. Spinta anche dalla necessità di contenere la minaccia cinese, Washington si ritira definitivamente dall’accordo nell’estate del 2019. Ormai lo spirito di Ginevra 1985 si è dissolto nel nulla, le due potenze si guardano in cagnesco come negli anni più bui della guerra fredda, quando la pace era affidata all’equilibrio del terrore nucleare basato sulla formula MAD, Mutual Assured Destruction. Una garanzia di distruzione reciproca dalla sigla quanto mai eloquente.

Si arriva così allo scenario che difficilmente Gorbaciov e Reagan avrebbero potuto immaginare: la Russia ormai confinante con la Nato sulle frontiere delle repubbliche baltiche, quello che fu il Patto di Varsavia, l’organizzazione militare guidata da Mosca, quasi interamente approdato al campo avversario, e ora la prospettiva che anche l’Ucraina sia tentata dal grande passo verso Occidente. Mosca dispiega le sue forze e la sua flotta a ridosso della Repubblica già scossa al suo interno dalla rivolta della minoranza russa, gli Stati Uniti alzano la voce, l’Europa trema pensando alla guerra in casa e alle incerte forniture di gas metano. Sullo sfondo l’inquietante attivismo della Cina che ha sconvolto per sempre lo schema bipolare, dominatore della storia nella seconda metà del Novecento. Comunque vada a finire, le immagini di Reagan e Gorbaciov sorridenti davanti al caminetto di Ginevra sembrano appartenere a un’altra epoca.