Una guerra politica con mezzi giudiziari

Brasile – Nessun diritto alla presunzione d’innocenza per i coinvolti in una nuova inchiesta denominata Operazione Abisso
/ 21.05.2018
di Angela Nocioni

Alle elezioni presidenziali brasiliane del prossimo ottobre l’ex presidente Lula da Silva, detenuto dal 7 aprile scorso con una condanna di secondo grado a 12 anni di reclusione per corruzione passiva e riciclaggio, prenderebbe da solo quasi gli stessi voti degli altri quattro principali candidati messi insieme: Lula 32,4%; Jair Bolsonaro, ex militare di estrema destra, 16,7%; Marina Silva, icona ecologista, 7,6%; Ciro Gomes, centrista, 5,4%; Geraldo Alckmin, governatore liberal di San Paolo, 4%. Trionfo di Lula al ballottaggio con il doppio dei voti contro qualsiasi di questi sfidanti e addirittura con il 49% contro il 6% se lo sfidante fosse l’attuale presidente della repubblica Michel Temer.

È questo il risultato del sondaggio CNT/MDA che ritrae il teatro dell’assurdo del quadro politico brasiliano in un’appassionante quanto insolita campagna elettorale.

Risultato assurdo perché la legge brasiliana impedisce a un condannato in secondo grado di ricoprire incarichi elettivi. Ma realistico perché il Partito dei lavoratori (Pt), il partito fondato da Lula, sta seriamente discutendo se presentare comunque Lula in attesa che i giudici si pronuncino su tre ricorsi ancora in ballo presentati dall’ex presidente.

Molto probabile che, intanto, Lula registri la sua candidatura. C’è tempo fino ad agosto. Poi si vedrà, questa è la strategia al momento del Pt che spera di riuscire a incassare in qualche modo la possibilità di candidare Lula anche da detenuto, puntando sul diritto alla presunzione di innocenza fino all’esaurimento dei tre gradi del processo. Il risultato sarebbe politicamente schiacciante e al tempo spesso esposto al rischio di essere invalidato da future decisioni giudiziarie.

Come si è arrivati alla condanna di secondo grado e a una campagna elettorale giocata tutta intorno all’arresto dell’ex presidente?

Il 12 luglio del 2017 il giudice federale Sergio Moro ha condannato Luiz Lula da Silva a nove anni e mezzo di prigione, diventati dodici e un mese in appello nel gennaio scorso. Lula è stato considerato responsabile di aver ricevuto come tangente dalla impresa edile Oas un attico con superattico a Guaruja, litorale di San Paolo, in cambio di appalti in contratti pubblici. La sentenza non ha precisato né quale affare della Oas sarebbe stato facilitato da Lula, né in quale momento. L’ex presidente non era più nemmeno al governo per la gran parte del periodo considerato, ma questo può essere giudicato irrilevante vista la sua influenza sul governo Dilma, sua erede politica.

Lula è così stato condannato per una tangente di un milione e duecentomila dollari, valore stimato dell’appartamento. Che non risulta però essere mai stato di sua proprietà. Non è saltata fuori una sola prova sulla sua colpevolezza, solo una serie di indizi. Non esiste un contratto di acquisto, l’appartamento non è stato mai abitato né da lui né dalla sua famiglia, che non risulta averne mai posseduto le chiavi.

Nel 2005 la moglie di Lula, Marisa Letizia, allora first lady, comprò una quota per l’acquisto futuro di un appartamento nell’edificio in costruzione e proprietà di una cooperativa, la Bancoop. Questo è l’unico documento firmato mostrato al processo. Ma si tratta di una quota per l’acquisto futuro di un appartamento ancora da costruire, non di un documento di proprietà. La cooperativa fallì. L’edificio nel 2009 fu comprato dalla Oas che, secondo testimoni dell’accusa, avrebbe cominciato a ristrutturarne l’attico per metterlo a disposizione di Lula. Lui dice invece che andò sì a visitare l’attico (un video lo riprende durante la visita), ma non gli piacque e non lo comprò. Dice di essere stato lì dentro in tutto un’ora nella sua vita.

La condanna si regge interamente sull’accusa di Leo Pinheiro, presidente di Oas, condannato nello stesso processo – come correo ha diritto a mentire secondo la legge brasiliana – che ha detto ai giudici di aver assecondato la richiesta di Lula di far sparire i documenti della proprietà. Non potendo dimostrare che l’appartamento era di Lula o della sua famiglia, si è stabilito che gli era stato messo a disposizione. Testimoni dell’accusa sostengono di aver visto l’allora first lady suggerire modifiche all’arredamento, questo è l’indizio fondamentale. Si è deciso quindi che l’appartamento sia stato in qualche modo attribuito a Lula.

Non si capisce come la tangente possa essere di un milione e duecentomila dollari, visto che un appartamento messo a disposizione non può essere né venduto né dato in eredità. Risulta poi che quel famoso attico sia stato usato dalla Oas come garanzia per chiedere prestiti. Se l’impresa l’usava come garanzia per farsi dare soldi dalle banche, ha chiesto invano la difesa, come poteva essere di Lula?

Tutto ciò accade mentre un nuovo filone delle inchieste sull’intreccio tra corruzione e appalti sta tenendo incollati i brasiliani alla tv. Operazione Abisso si chiama la pubblicizzatissima inchiesta, la cui ultima puntata ha visto il giudice Sergio Moro condannare a 9 anni e 10 mesi di carcere per corruzione l’ex tesoriere del Pt Paulo Ferreira.