Una guerra per la conquista del cosmo

La competizione fra le maggiori potenze si gioca nello Spazio. Ma la navigazione si fa sempre più rischiosa, ecco perché
/ 27.12.2021
di Lucio Caracciolo

Lo Spazio sta diventando la dimensione primaria della competizione fra le maggiori potenze. Per gli strateghi americani, russi, cinesi e di altre potenze la prossima guerra si giocherà soprattutto nello Spazio e nel ciberspazio, domini strettamente collegati. Più precisamente nelle orbite terrestri, dove migliaia di satelliti adibiti a usi non solo scientifici testimoniano della competizione in corso. E da dove è possibile controllare con sempre maggiore precisione ciò che accade sulla Terra. Per colpire, in caso di conflitto, bersagli nemici. In barba ai trattati e alle proclamazioni propagandistiche che vorrebbero lo Spazio smilitarizzato.

Siamo stati abituati a considerare il cosmo come ambiente da esplorare per il superiore bene dell’umanità. Questa era la retorica vigente già ai tempi della gara spaziale fra Urss e Usa, in piena guerra fredda, inaugurata nel 1957 con il clamoroso lancio dello Sputnik. Culminata nel 1969 con lo sbarco americano sulla Luna, che sanciva la prevalenza dell’America e le offriva un formidabile vantaggio di soft power. In realtà, fin dalle origini, le potenze hanno cercato nello Spazio un vantaggio strategico. Alla fonte dei programmi spaziali americano e sovietico troviamo gli scienziati tedeschi che nella fase terminale del Terzo Reich erano finalmente riusciti a convincere Hitler dell’utilità delle Wunderwaffen, le armi miracolose che avrebbero rovesciato le sorti della seconda guerra mondiale. Le V2 del leggendario Wernher von Braun – poi reclutato dalla Nasa – sono le madri dei missili balistici intercontinentali che segnano il tempo della deterrenza nucleare.

Oggi è impossibile separare con nettezza gli scopi scientifici da quelli strategici, nello Spazio e non solo. Siamo nell’era del duale, dell’ambiguità tecnologica. Lo stesso strumento può essere impiegato per usi pacifici o bellici. A cominciare dai satelliti da osservazione e telecomunicazione, e dai vettori che li proiettano oltre l’atmosfera. Nel gergo del Pentagono il dominio militare (Milspace) privilegiato è disegnato dalle orbite basse, fino a 2’000 chilometri sopra il livello del mare. Quello che una volta era «ambiente» è oggi classificato «dominio», descritto dalle tre «c»: «congestionato, contestato, competitivo». La Nato ha stabilito che l’articolo 5 del Trattato di Washington, quello che in teoria garantisce al socio atlantico aggredito il soccorso di tutti gli altri, si estende anche alla dimensione extraterrestre. In particolare quello che si spinge fino ai circa 36’000 chilometri di quota, ovvero all’orbita geostazionaria, da cui si può avere una quasi completa, immediata osservazione di un emisfero terrestre. Attività cui si dedicano i numerosi satelliti spia che vi ruotano.

Tutte le maggiori potenze si sono recentemente dotate di Forze armate e Comandi spaziali, sia pure in miniatura. Le dottrine correnti trattano lo Spazio come estensione del mare. Invece delle rotte commerciali oceaniche, quelle spaziali; al posto degli stretti marittimi, i punti di Lagrange, dove i campi gravitazionali di Terra e Luna si annullano reciprocamente, così offrendo un riferimento ideale per future colonie. Nel postulato dello stratega americano Eugene C. Dolman: «Chi controlla le orbite basse controlla lo Spazio vicino alla Terra. Chi controlla lo Spazio vicino alla Terra domina la Terra. Chi domina la Terra determina il destino dell’umanità».

Fino a pochi anni fa il dominio americano nello Spazio era quasi totale. Negli ultimi tempi cinesi e russi, spesso collaborando, hanno ridotto le distanze. Altri attori, quali India, Giappone e Francia (in nome dell’Europa s’intende), partecipano distanziati alla competizione. Questo rende molto più imprevedibile l’equazione spaziale della potenza. Anche per lo sviluppo della cibernetica e specialmente dell’intelligenza artificiale, altro esempio di impiego duale delle tecnologie. Con effetti non solo più distruttivi ma anche quasi imprevedibili: l’eventuale impiego bellico di tali tecnologie sconvolge le teorie della deterrenza su cui si è finora retto l’equilibrio strategico. E l’imprevedibilità offre un vantaggio enorme all’attaccante. Soprattutto può indurre all’attacco preventivo per carenza di strumenti di difesa e rappresaglia credibili.

La competizione ha ovviamente anche rilevanti aspetti economici e commerciali. Lo dimostra l’interesse di Elon Musk, Jeff Bezos e altri capitalisti avventurosi che affiancano a loro modo le istituzioni statali americane, sempre nella logica duale sopra descritta. Le promettenti risorse scoperte o supposte sulla Luna – a cominciare dall’elio-3, essenziale per la fusione nucleare – offrono fenomenali prospettive agli investitori, che cominciano a dotarsi di proprie flotte spaziali. A meno che la crescita esponenziale dei satelliti nelle orbite basse e medie sia tale da impedire di attraversarle per spingersi verso la Luna e oltre. È la sindrome di Kessler: le collisioni, spontanee o volute (i satelliti killer vanno di moda specialmente in Russia e in Cina), fra ordigni in orbita stanno producendo una massa di detriti tale da rendere sempre più rischiosa la navigazione persino alla Stazione spaziale internazionale. Sarà la bulimia spaziale a frenare i sogni e le ambizioni dei conquistatori del cosmo?