Una farsa di democrazia

Il premier pakistano Imran Khan e i suoi goffi tentativi di emanciparsi dall’esercito
/ 11.04.2022
di Francesca Marino

«La situazione è grave ma non seria», avrebbe commentato lo scrittore e giornalista italiano Ennio Flaiano a proposito degli ultimi sviluppi della politica pakistana. Riassumendo: di recente l’opposizione ha presentato in Parlamento una mozione di sfiducia nei confronti del premier Imran Khan. La mozione, che richiedeva una maggioranza di 172 voti, sarebbe probabilmente passata visto che alcuni partiti alleati del premier gli avevano voltato le spalle. Due giorni prima del voto sulla mozione, Khan è andato in televisione denunciando una cospirazione a opera di «una potenza straniera» che avrebbe comprato i 172 parlamentari per sovvertire di fatto il governo in Pakistan. Al momento del voto di sfiducia, lo speaker della Camera ha dichiarato nulla la mozione appoggiando la tesi della cospirazione a opera della famosa potenza straniera. Il presidente Arif Alvi ha sciolto le camere e ha indetto nuove elezioni da tenersi al più presto. Metà del Paese si straccia le vesti dichiarando incostituzionale tutto il procedimento, mentre l’altra metà crede ciecamente alla storia della cospirazione. La potenza che vuole detronizzare il primo ministro pakistano sarebbe, come ha dichiarato lo stesso Khan in Tv, l’America. Che a quanto pare, nel mezzo della crisi Ucraina, non trova di meglio da fare che complottare un cambio di regime in Pakistan spendendo qualche milione di dollari per cacciare un primo ministro che, con tutta la buona volontà, è perfino difficile prendere seriamente.

Le sue gaffe sono leggendarie, così come la sua ignoranza e la sua cieca fede nella magia nera o bianca che sia. Eletto nel 2018 con quelle che sono state definite le elezioni più truccate della storia del Pakistan, Khan, la cui carriera politica è stata forgiata da alti ranghi dell’ISI (i servizi segreti) e dell’esercito, era stato accuratamente selezionato e addestrato per il compito affidatogli, compito che l’ex-playboy campione di cricket sembrava abbastanza felice di svolgere secondo le indicazioni ricevute. Erano in molti a pensare, fino a qualche tempo fa, che Khan avrebbe portato a termine il suo mandato e avrebbe probabilmente vinto un’altra elezione per un motivo molto semplice: l’esercito non troverà mai qualcuno più diligente di lui nel seguire le direttive ricevute lasciando ai generali la vera responsabilità di governo.

Cosa è andato storto allora? In ultima analisi, si tratta della vecchia storia di Frankenstein: la creatura che si ribella al suo creatore. E qui la cronaca comincia a sembrare la trama di una soap opera scritta da uno sceneggiatore ubriaco. Negli episodi precedenti: Khan ha sposato in terze nozze una specie di santona che, a quanto sostiene, ha un filo diretto con gli spiriti e che aveva profetizzato la sua ascesa al potere nel caso in cui il matrimonio fosse stato celebrato (nonostante ai tempi sia Khan che la signora fossero già sposati con altre persone). Dopo il matrimonio però, si dice, la donna non si è più limitata a consigliare l’applicazione di lenticchie sulle parti intime per aumentare potenza e scacciare il malocchio ma ha cominciato a dettare al primo ministro, oltre agli affari da combinare, anche la linea politica da tenere. Così, sostenuto anche dalla corte di nani e ballerine il cui compito principale era quello di lusingarlo facendogli credere che godesse di un potere reale, Khan ha intrapreso una lunga battaglia suicida contro il capo dell’esercito, generale Qamar Javed Bajwa. Rifiutandosi di firmare la sostituzione del direttore generale dell’ISI Faiz Hameed con il tenente generale Nadeem Anjum. Hameed è stato uno degli artefici della vittoria di Khan nel 2018.

A quanto pare la consorte del premier, in una delle sue consultazioni con gli spiriti, avrebbe vaticinato che il governo non sarebbe sopravvissuto senza Hameed: il quale, rimanendo in carica, sarebbe potuto diventare capo dell’esercito in novembre quando il mandato di Bajwa sarebbe scaduto. Il resto è storia che si ripete sempre uguale a se stessa. Khan ha commesso lo stesso errore che altri premier hanno commesso prima di lui: ribellarsi all’esercito. E l’esercito non perdona i suoi eletti che cercano di prendere decisioni individuali. Ma, siccome non c’è nulla di serio nelle crisi politiche pakistane, l’esito sarà probabilmente questo: ricevuti un paio di metaforici schiaffoni (giovedì la Corte suprema non ha convalidato lo scioglimento delle camere, quindi dovrà affrontare il voto di sfiducia, che perderà), Khan tornerà al potere con un’altra elezione truccata e un paio di ulteriori amuleti al collo. Perché è davvero difficile trovare qualcuno più facile da manovrare.