L’Algeria è uno dei Paesi più direttamente coinvolti nelle conseguenze della guerra d’Ucraina. Lo è per due ragioni: si tratta di uno dei maggiori produttori di petrolio e gas (dunque viene sollecitato ad aumentare le esportazioni per soppiantare le forniture russe) ed è particolarmente esposta, come tutto il Maghreb, alle imminenti carenze di cereali. Fra i contrastanti problemi del grano che scarseggia e degli idrocarburi che abbondano, ma che non sarà facile estrarre ed esportare in misura corrispondente alla nuova domanda mondiale, il Paese si appresta a celebrare il sessantesimo anniversario dell’indipendenza.
L’Algeria si affaccia dunque sulla sua storia tormentata, che comprende la lunga vicenda coloniale iniziata nel 1830. Ci vollero quarant’anni di guerriglia, attentati e massacri perché la Francia di Carlo X, poi di Luigi Filippo e quindi di Napoleone III potesse controllare l’intero territorio. Il secolo successivo ce ne vollero altrettanti perché i primi vagiti indipendentisti si traducessero nella sovranità nazionale. Fu così che i pieds-noirs, i coloni così definiti da un’espressione inizialmente spregiativa ma più tardi adottata come formula identitaria, lasciarono in massa quella che si ostinavano a considerare l’Algeria francese.
All’inizio della crisi di rigetto, un milione di coloni convivevano con otto milioni di arabi e berberi fra la verdeggiante striscia costiera e l’immensità del Sahara: nel 1962, anno primo dell’Algeria sovrana, ne erano rimasti centomila. La storia ha alimentato un massiccio flusso umano da queste terre verso quella che fu a lungo la madrepatria europea, non soltanto di pieds-noirs in fuga né soltanto dopo l’indipendenza. Vivono oggi in Francia settecentomila cittadini di nazionalità algerina, senza contare i francesi che hanno laggiù le loro radici: un milione e mezzo dicono le statistiche di Parigi, quattro milioni secondo i dati provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo.
Tutto cominciò con uno sgarbo abilmente sfruttato dalla diplomazia francese. Il 30 aprile 1827 il Dey Hussein che governava Algeri per conto dell’impero ottomano, teorico titolare della sovranità, ricevendo il console Pierre Deval gli chiese se il re Carlo X avesse risposto alle lettere che gli aveva mandato. Il console rispose in modo considerato offensivo e il Dey lo colpì con lo scacciamosche. Poi rifiutò di scusarsi e una squadra navale che incrociava al largo bloccò i porti. Tre anni più tardi 38 mila soldati francesi sbarcavano sulle coste algerine. Il 5 luglio 1830 Algeri fu occupata. Lo sarà per 132 anni, fino a quando Charles de Gaulle, l’eroe della France libre, sarà chiamato a governare la Francia e a sciogliere, per cominciare, l’intricatissimo nodo africano.
Gli invasori non ebbero vita facile. Le «campagne di pacificazione» lanciate per fronteggiare la resistenza armata si protrassero fino alla caduta del Secondo Impero, immortalando la figura guerriera dell’emiro Abd el-Kader. Un milione le vittime, un terzo dell’intera popolazione dell’Algeria ottocentesca. Più tardi un decreto tenterà di nascondere la realtà coloniale con il velo dell’annessione: il territorio diventerà un insieme di dipartimenti d’oltremare. Gli spazi compresi fra la Cabilia e il deserto saranno considerati terra di Francia non diversamente dalla Bretagna o dalla Provenza, nonostante l’atteggiamento non proprio amichevole della popolazione arabo-berbera.
I nodi vengono al pettine dopo la prima guerra mondiale, nella quale hanno combattuto 250 mila algerini lasciando sul terreno 40 mila morti. Nascono i primi movimenti che associano alla rivendicazione indipendentista quella sociale. Anche la seconda guerra vede una forte presenza algerina nelle forze francesi e un pesante tributo di sangue. Il diffuso sentimento nazionalistico e l’aspirazione alla sovranità devono fare i conti nel 1945 con la dura repressione dei moti scoppiati fra i berberi della Cabilia. Si affacciano sulla scena gli uomini che si preparano a governare il Paese come Ferhat Abbas, Ahmed ben-Bella, Houari Boumédienne. Nel 1954 nascono il Fronte (FLN) e l’Armata di liberazione nazionale. Ormai è guerra aperta: i francesi mettono in campo le loro truppe migliori, compresa la Legione straniera che proprio in Algeria, a Sidi bel-Abbés, ha il suo quartier generale. Le Nazioni Unite suggeriscono una soluzione diplomatica e nel 1955 Tunisia e Marocco tentano la mediazione.
Purtroppo non è tempo di pacifiche trattative: ben presto la Francia dovrà vedersela non soltanto con gli arabi e i berberi che vogliono l’indipendenza ma anche con i coloni che non ne vogliono sapere. Parigi incarica due generali, Raoul Salan e Jacques Massu, di reprimere con pieni poteri la rivolta ormai dilagante. Nel ’57 l’esercito irrompe nella Casbah di Algeri ma la resistenza sopravvive agli arresti di militanti e dirigenti. Si fa ricorso alla tortura e alle esecuzioni sommarie, il mondo osserva inorridito e preme per il solo sviluppo che può portare la pace: rendere definitivo il governo provvisorio che il FLN ha nominato nel ’58. Ma i coloni non ci stanno, un gruppo di militari assume il controllo di Algeri. A Parigi le istituzioni vacillano, ogni potere viene delegato al generale De Gaulle, che nel ’58 sarà il primo presidente della Quinta Repubblica.
Tocca a lui compiere il grande passo che porta la Francia fuori dal pantano algerino. Nel ’59 riconosce il diritto dei colonizzati all’autodeterminazione: i pieds-noirs rispondono con barricate e attentati. Alcuni generali riuniti attorno a Salan danno vita all’Organisation de l’Armée Secrète, ben decisi a difendere con le armi l’Algeria francese. Parigi indice un referendum e gli elettori scelgono di rispettare la volontà degli algerini. L’OAS reagisce tentando l’insurrezione e ricorrendo al terrorismo, che prende di mira anche i francesi tacciati di filo-arabismo. Ma ormai De Gaulle ha conquistato la fedeltà degli alti comandi e procede verso l’ineludibile conclusione. Mentre i coloni fuggono in massa i dettagli del trasferimento dei poteri vengono definiti nel negoziato di Evian, dove il 19 marzo 1962 si firma il trattato che riconosce il FLN e decide il cessate il fuoco. Ormai la strada è sgombra, anche l’OAS depone le armi e il 5 luglio 1962 nasce il nuovo Stato nordafricano. Si conclude così la più cruenta fra le decolonizzazioni che hanno segnato il Novecento.