Biografia

Sergio P. Ermotti (56 anni) è entrato nella direzione del gruppo UBS nell’aprile del 2011 e nel novembre dello stesso anno è stato nominato Group Chief Executive Officer di UBS Group. Dal 2007 al 2010 è stato Group Deputy Chief Executive Officer di Uni-Credit a Milano, responsabile per le attività strategiche di Corporate and Investment Banking nonché del Private Banking. La sua carriera professionale è iniziata come apprendista bancario. Nel 1987 debutta in Merrill Lynch. Ermotti abita a Zugo durante la settimana e trascorre regolarmente il week-end a Montagnola, non lontano da Lugano. È sposato con Tina, con la quale ha due figli di 22 e 20 anni.


Una banca globale ma svizzera

Come CEO di UBS, Sergio Ermotti è fra le più importanti personalità del mondo economico. Ci parla dei rischi per la piazza finanziaria, delle conseguenze negative di un eccesso di iniziative popolari e della sua passione per il calcio
/ 31.10.2016
di Reto E. Wild e Hans Schneeberger, Migros Magazin

Signor Ermotti, cosa comporta per UBS il fatto che un ticinese guidi la banca?
Nulla di veramente straordinario. Ovviamente, come ticinese sono forse più sensibile alle differenze esistenti tra le regioni latine e  svizzero-tedesche del nostro paese. Probabilmente sono anche il primo ticinese in assoluto al vertice di una grande banca. Per noi la Svizzera è molto importante a livello strategico, ma il nostro campo d’azione è globale. La nostra identità elvetica ha un grande significato all’estero. Perciò, per guidare l’UBS svolge un ruolo maggiore la «svizzeritudine» piuttosto che il fatto che io sia ticinese, svizzero-tedesco o romando.

Ciò significa che il CEO di UBS dovrebbe essere sempre uno svizzero?
Non necessariamente. Gli svizzeri possono essere rappresentati anche nella Direzione generale o nel Consiglio d’amministrazione. È come nello sport: la tattica va adattata anche ai giocatori che si hanno a disposizione. Tuttavia, non possiamo dire di volere essere una banca svizzera e poi avere altre nazionalità nella Direzione generale. È importante avere un buon equilibrio. La composizione della Direzione generale riflette anche la nostra forte identità globale e la varietà della squadra rispecchia la base della nostra clientela. UBS significa entrambe le cose, svizzeritudine e identità globale. È un elemento al quale tengo molto.

Qual è, secondo lei, la differenza tra il Ticino e la Svizzera tedesca? Politicamente, il Ticino si è spostato sempre più verso la Svizzera tedesca, allontanandosi dalla Svizzera romanda.
È vero, la Lega sta crescendo come l’UDC. Credo che molti siano preoccupati per la loro qualità di vita. E ne capisco le preoccupazioni. Almeno la metà dei Ticinesi che hanno votato per l’Iniziativa contro l’immigrazione di massa probabilmente avrebbero espresso un’opinione diversa, se avessero avuto la sensazione che a Berna fossero presi sul serio. Se sapessero che i problemi di traffico vengono affrontati, che i posti di lavoro sono meglio tutelati. Non dico che sono d’accordo con la loro scelta, ma posso capirne le ragioni.

Lei è considerato un patriota e ha partecipato alla Festa federale di lotta svizzera. Che ruolo gioca per lei la Svizzera?
Mi identifico molto con la Svizzera e con il Ticino. È nella natura delle cose che mi senta prima ticinese e poi svizzero. Ritengo che sia importante avere un’identità e mantenerla. Penso anche che la Svizzera potrebbe, e dovrebbe, essere un buon esempio per molti Paesi. Certamente, anche noi dobbiamo continuare a migliorarci e ad adeguarci.

Cosa intende con «adeguarsi»?
A livello economico e politico. Siamo diventati uno Stato troppo burocratico. E come elettore mi disturba la crescente strumentalizzazione della democrazia diretta. Stiamo sprecando un punto di forza del nostro sistema con un’infinità di iniziative popolari. Mi capisca bene: ritengo che questo strumento abbia un’importanza straordinaria. Molti politici, però, lanciano le iniziative non tanto per servire una causa, quanto piuttosto per posizionarsi, per mantenere i punti che difendono e per esercitare pressioni. Questo danneggia il Paese. Un inflazionato esercizio del diritto di iniziativa toglie in parte credibilità al nostro sistema politico.

Per quale motivo?
Votiamo spessissimo su proposte che rischiano di far perdere interesse ai cittadini. A ciò si aggiunge la necessità di adeguarsi alle nuove realtà, come ad esempio la demografia. Per lanciare un’iniziativa popolare federale ci vogliono da decenni solo 100 000 firme, nonostante dal 1900 la popolazione sia quasi triplicata. Oggi è diventato troppo facile raccogliere le firme necessarie. Inoltre, sono molto critico nei confronti di iniziative popolari provenienti dai partiti di governo.

Lei ha già criticato anche il Consiglio federale, soprattutto in relazione al segreto bancario.
Attenzione: ho fatto quella dichiarazione perché sembra che il Consiglio federale non abbia ancora tenuto nella dovuta considerazione il fatto che l’elettorato borghese si sia rafforzato dopo le elezioni di un anno fa. Non era da interpretare come una critica, ma come una constatazione. E molti osservatori politici condividono la mia valutazione.

Lei è il CEO di una grande banca, ma avrebbe preferito fare il calciatore…
Sì, scambierei il mio posto di CEO con un’eventuale finale di Champions League o dei Campionati del Mondo. Sarebbe un sogno giocare a quei livelli. Tuttavia, se avessi intrapreso la carriera di calciatore professionista, oggi sarei in pensione. Come CEO di una banca, invece, posso ancora lavorare. E forse è meglio così (ride).


Comunque, lei è tuttora presidente del FC Collina d’Oro che milita in seconda lega. Che significato ha per Lei?
Semplicemente, mi fa piacere andare sul campo di calcio a fare lo spettatore. Si tratta di un mondo completamente diverso dal mio ed è un contributo alla comunità della mia regione.

Come banchiere guadagna più di tanti calciatori. Nel 2015 erano 14,3 milioni di franchi. Come si fa a mantenere i piedi per terra di fronte a questa somma?
Non è un motivo che mi fa perdere il contatto con la realtà. Il mio primo salario era di 350 franchi al mese. Era il 1975. E non venivo da una famiglia ricca. Mio padre era un semplice impiegato di banca. So perfettamente cosa significa guadagnarsi lo stipendio. Con ciò non intendo dire che per me il denaro non abbia importanza. È certamente importante essere retribuito in modo conforme al mercato. E, sicuramente, il fatto di essere diventato finanziariamente indipendente abbastanza presto, mi ha portato una certa libertà. Ma mi piace lavorare e non solo per i soldi. È interessante il fatto che gli stipendi dei campioni dello sport o delle star del cinema e della musica non siano mai oggetto di discussione, mentre lo sono invece quelli dei manager. Si argomenta dicendo che non è la comunità a pagare il salario dello sportivo. Ma non è vero. Chi paga indirettamente per la sponsorizzazione, i diritti televisivi e la pubblicità? Sono i consumatori!

Però, per quanto riguarda i divi dello sport e dello spettacolo, tutti possiamo vedere quello che fanno. Non è di certo il caso per i quadri dirigenti di una banca.
Ora non intendo mettermi sulla difensiva. Lei, però, deve dare atto che oggi abbiamo regole molto precise e una buona vigilanza per quanto riguarda le retribuzioni. L’ultima parola in merito spetta ai proprietari delle aziende, ossia agli azionisti. E in Svizzera essi hanno diritto di voto sul pacchetto retributivo.

L’UBS è particolarmente sotto i riflettori perché nel 2008 è dovuta ricorrere all’aiuto dello Stato.
È vero e siamo molto grati al governo svizzero, sebbene all’epoca non fossi ancora in UBS. Va però anche detto – e ne siamo lieti – che lo Stato ha guadagnato piuttosto bene con quell’intervento. Naturalmente, non è una ragione per voler ripetere l’esperienza.

Altra questione: è solo un’impressione, o è davvero così, che oggi sulla piazza finanziaria svizzera ci si muova con più modestia?
Credo che la modestia sia importante, a prescindere dalla propria forza. Non si tratta di noi, ma di come possiamo aiutare i nostri clienti. È però un dato di fatto che la piazza finanziaria elvetica sia piuttosto sotto pressione a livello internazionale. Asia e Stati Uniti stanno crescendo come concorrenti nella gestione patrimoniale tradizionale. Il fatto poi che l’Europa non cresca quasi più, non è una cosa positiva neppure per la Svizzera, perché per noi i mercati europei ricoprono un ruolo importante. Tuttavia, non dobbiamo sminuirci da soli, possiamo benissimo continuare a essere fra i primi. Dobbiamo costruire sulla nostra tradizione e sui nostri punti di forza.

In che misura oggi la piazza finanziaria svizzera è pulita?
La Svizzera ha adottato moltissime misure e si trova in una posizione di testa per quanto riguarda la conformità fiscale o la lotta contro il riciclaggio di denaro. Soddisfiamo standard rigorosi. La Svizzera è perfetta? No, ma si colloca molto meglio di tanti altri Paesi che regolarmente ci criticano.

Per esempio gli USA?
Non faccio esempi. È comunque chiaro che la piazza finanziaria elvetica deve proseguire sulla via che ha tracciato. Adesso non dobbiamo neppure fare del catastrofismo.

Non è frustrante vedere che la Svizzera ha fatto pulizia mentre altri Paesi, che ci hanno criticato, continuano a fare soldi nel retrobottega?
A volte le realtà sono queste. Trovo più frustrante che si continui a discutere del passato. Permettiamo a Stati stranieri di giudicare il nostro sistema giuridico, cosicché le banche svizzere vengono di fatto dichiarate colpevoli per cose che qui da noi erano legali e che sono state compiute conformemente alle leggi svizzere.

Neppure il presente è sempre perfetto: in uno dei maggiori scandali mondiali legati al riciclaggio, quello del fondo sovrano malese 1MDB, erano coinvolte anche la banca privata svizzera Falcon e l’UBS.
Non scendo nei particolari dei singoli casi. Dico solo questo: è molto pericoloso generalizzare sulla base di un singolo caso.

I critici parlano di una duplice strategia: soldi «in bianco» dai Paesi ricchi, ma soldi in nero dalle regioni più povere del mondo. Cosa dichiara in merito?
Affermazioni così generalizzate sono irresponsabili e completamente ingiustificate.

Jörg Gasser, il nuovo segretario di Stato per le questioni finanziarie internazionali, afferma che l’immagine della nostra piazza finanziaria va rafforzata e vanno esplorati nuovi mercati. Come in concreto?
Per noi non è prioritario avere ulteriori nuovi mercati. Una volta coperti il Giappone, Singapore o la Cina, oltre a Indonesia, Europa, USA, Messico e Brasile, si è presenti sulla stragrande maggioranza del mercato mondiale. Ora si tratta soprattutto di fare in modo che la piazza finanziaria elvetica possa offrire servizi ancora migliori a questi mercati esteri tramite adeguati accordi. Ciò è di grande importanza per l’economia nazionale. Infatti, la piazza finanziaria non è fine a sé stessa: i soldi che gestiamo in Svizzera sono a disposizione dell’economia e delle imprese svizzere.

Ma così il franco svizzero si rafforzerà ulteriormente.
Primo punto: l’80 percento dei patrimoni che noi operatori finanziari gestiamo in Svizzera sono costituiti da depositi in valute straniere, non in franchi. In secondo luogo, il problema della forza del franco svizzero non è dovuto principalmente a stranieri che investono nella nostra valuta. In misura molto maggiore si tratta di società svizzere e investitori istituzionali, che ormai da anni fanno rientrare regolarmente in Svizzera investimenti e dividendi.

È stata saggia la decisione della Banca nazionale (BNS) di abbandonare il tasso minimo di cambio con l’euro?
Non spetta a me giudicare se sia stato saggio o meno. Era però senz’altro necessario intervenire, sia nel 2011 che nel 2015. Altra cosa è chiedersi se il modo di procedere sia stato ottimale. La BNS deve continuare a vigilare affinché il franco svizzero non sia valutato in modo irrealistico e l’economia elvetica resti concorrenziale. Ma per farlo abbiamo bisogno innanzitutto di appropriate condizioni quadro. Guardi cosa ha fatto la Svizzera in passato per rendersi concorrenziale: liberalismo e un contesto favorevole alle imprese.

I clienti dell’UBS devono aspettarsi prossimamente un interesse negativo sui loro risparmi?
I piccoli risparmiatori no. A meno che la Banca nazionale non accentui ulteriormente la politica dei tassi negativi. Questo costituirebbe un ulteriore enorme aggravio per le banche, tanto più che si tratta del «pane quotidiano» della nostra attività. Per i clienti facoltosi, invece, è una misura che non possiamo escludere.