Era già un viaggio di per sé delicatissimo quello di papa Francesco con destinazione il Cairo. Ma dopo gli attentati che, nella domenica delle Palme in Egitto, hanno ucciso 46 cristiani copti tra le città di Tanta e Alessandria, le giornate del 28 e 29 aprile sono diventate un appuntamento cruciale per tutto il Medio Oriente. Non ha esitato a confermare questa visita, Bergoglio, consapevole del fatto che un annullamento sarebbe stato un colpo ancora più duro per i copti, circa 10 milioni di fedeli, l’ultima grande comunità cristiana della regione. Ma la preoccupazione è grande e non tanto per l’incolumità fisica del Pontefice, intorno al quale lo schieramento di sicurezza sarà imponente; il pericolo vero è piuttosto un altro: la possibilità che l’Isis possa colpire di nuovo prendendo di mira, in quei giorni, una chiesa o qualche gruppo di cristiani per dimostrare la sua capacità di arrivare ovunque e diffondere ancora di più il terrore in Egitto.
È infatti una sfida aperta contro di loro il viaggio che porterà papa Francesco al Cairo; una sfida che viaggia su due direttrici distinte, ma oggi intrecciate. Da una parte è il sigillo al lungo processo di riavvicinamento tra il Vaticano e al Azhar, l’istituzione islamica antica di oltre un millennio che nella capitale egiziana conta settanta facoltà universitarie e studenti provenienti da oltre cento Paesi. Come è noto il mondo musulmano non ha una gerarchia di autorità, ma tra i sunniti al Azhar è lo stesso uno dei punti di riferimento più importanti da un punto di vista dottrinale. Anche per questo il Vaticano ha storicamente relazioni con quest’istituzione: una commissione mista per anni si è riunita una volta all’anno – al Cairo o a Roma – per discutere i temi più importanti del momento sul dialogo islamo-cristiano. Tutto questo, però, si era interrotto al tempo del pontificato di Benedetto XVI. E non tanto per il celeberrimo discorso di Regensburg ma per una condanna espressa da Ratzinger proprio all’indomani di un’altra strage contro i copti, avvenuta nella notte di Capodanno 2011 alla chiesa dei Santi ad Alessandria. L’imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, interpretò quel gesto come un’ingerenza negli affari interni in un Egitto che allora era ancora quello di Mubarak.
In questi sei anni – però – è cambiato tutto, non solo in Vaticano ma anche al Cairo. Perché nell’estate 2013 proprio l’appoggio di al Tayyeb – insieme a quello del papa copto Tawadros II – è stato decisivo per il generale al Sisi nella destituzione di Mohammed Morsi, il presidente espressione dei Fratelli musulmani, eletto l’anno prima come sbocco della rivoluzione di piazza Tahrir e già impegnato nell’imprimere un volto islamista al Paese.
Negli anni successivi al Sisi ha lasciato l’uniforme per farsi eleggere a sua volta presidente; ma, nonostante il pugno di ferro su ogni forma di dissenso che anche la vicenda della morte di Giulio Regeni ha mostrato, l’Egitto è rimasto un Paese spaccato a metà, con un’intera area – la regione del Sinai, ai confini con Israele – fuori controllo per l’esercito. Proprio lì i gruppi islamisti locali – che fin dal 2015 hanno giurato fedeltà all’Isis, costituendo un braccio locale del Califfato, il Wilayat Sinai – hanno continuato a colpire ininterrottamente tanto l’esercito egiziano quanto le comunità copte.
In un contesto del genere il riavvicinamento tra i vertici di al Azhar e il Vaticano di papa Francesco è stato un passo naturale: riavviato il dialogo, l’imam al Tayyeb l’anno scorso ha già incontrato il Pontefice in un’udienza in Vaticano. E da lì è partito il percorso che porterà tra qualche giorno Bergoglio al Cairo, dove proprio nel grande centro sunnita parteciperà a una conferenza interreligiosa sul tema della pace. Segno importante per la stessa al Azhar, mondo composito dove non tutti condividono le aperture di al Tayyeb.
Tutto questo, però, non è in contraddizione con la vicinanza della Chiesa cattolica ai copti, espressa dal Pontefice anche a caldo – la domenica delle Palme in piazza San Pietro – appena giunte le notizie delle stragi. Il copto Tawadros II è uno dei leader delle Chiese d’Oriente a cui Francesco è più vicino. Insieme stanno coltivando il desiderio che la durissima persecuzione che i cristiani oggi vivono in Medio Oriente aiuti a superare le incomprensioni storiche tra le diverse Chiese. E già prima degli ultimi fatti di sangue era previsto che – venerdì 28 aprile, lo stesso giorno della visita ad al Azhar – Tawadros e Francesco compiano un omaggio comune ai martiri cristiani vittime della violenza jihadista, recandosi insieme alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, sventrata da un kamikaze nel dicembre scorso durante una liturgia domenicale trasformatasi anche allora in una strage.
Sostenere la parte dialogante del mondo musulmano egiziano, portandolo a schierarsi in maniera netta in difesa dei copti: è su questa strada strettissima che si muoverà Francesco al Cairo. Mostrando che – come quando tutto ebbe inizio a piazza Tahrir – anche oggi è in Egitto che si gioca una delle partite più importanti per il futuro del mondo arabo.