Un salvataggio salato ma riuscito

La SECO fa le prime valutazioni sui costi economici delle operazioni di sostegno alle imprese colpite dalla crisi generata dal Covid-19. Si stima un calo della produzione lorda tra i 30 e gli 80 miliardi di franchi
/ 25.05.2020
di Ignazio Bonoli

La fase di riapertura delle attività economiche, dopo il lockdown durato parecchie settimane a causa del «Covid-19», ha incontrato inizialmente alcune difficoltà, ma poi si è avviata con una certa intensità. Questi movimenti sono seguiti con particolare attenzione tanto dagli economisti, quanto dalle autorità politiche. Da essi dipendono, infatti, i segni di ripresa e il loro ritmo, che accompagnano e sostengono le possibilità di uscire dalla crisi entro tempi ragionevoli.

Ancora una volta, però, il ritorno alla normalità è accompagnato da parecchie preoccupazioni e inevitabilmente da qualche pessimismo sulla riuscita dell’operazione di ripresa dell’economia e quindi sull’efficacia delle misure messe in atto e dal loro utilizzo. Sotto questo aspetto il modello svizzero sembra aver avuto il successo sperato e – paradossalmente – viene confermato anche dal fatto che non tutto il credito messo a disposizione è stato utilizzato.

In sostanza, questo fatto sottolinea che l’economia svizzera, globalmente, poteva disporre di riserve di capitali che le permettono di resistere ai rovesci congiunturali di qualsiasi tipo per una durata di una certa consistenza. Considerazione quest’ultima forse un po’ trascurata in piena crisi o magari nascosta per paura di suscitare effetti contrari alla politica di sostegno messa in atto dalle autorità politiche.

Sta di fatto, comunque che le previsioni molto fosche di qualche tempo fa – ancorché avvolte da molte incertezze – sono in sostanza state smentite dalle prime valutazioni del dopo crisi, anche queste, però condizionate da un futuro ancora incerto. Così, se da un lato non si può ancora parlare in termini positivi per l’anno in corso, per il 2021 le cose dovrebbero cambiare radicalmente. Di conseguenza, i dati negativi sull’evoluzione del PIL nel 2020 (-6,7% per il SECO, - 6% per il FMI e -5% per l’UE) dovrebbero trasformarsi in dati positivi (+5,2% per il SECO, +2,7% per il FMI e +4,5% per l’UE).

Una delle incognite maggiori, che potrebbero condizionare l’andamento della ripresa economica nel 2021, è riassunta nei dati sulla disoccupazione. Il tasso di disoccupazione in Svizzera potrebbe salire in media ancora al 3,9% quest’anno e al 4,1% nel 2021. Il dato è di metà aprile e, alla vista delle ultimissime valutazioni, potrebbe sembrare un po’ troppo ottimistico. Tuttavia, secondo il FMI, potrebbe anche essere inferiore (2,6%), mentre per l’UE potrebbe essere ben superiore (5,0%) nel 2021.

L’occupazione – e di conseguenza la disoccupazione – non sono una causa della crescita economica, ma un effetto. La disoccupazione cresce se l’economia rallenta, mentre diminuisce se l’economia migliora. La crisi provocata dal Covid-19 (con le misure adottate per combatterla) non è paragonabile a una recessione economica normale. Essa ha, infatti, colpito tanto la domanda, quanto l’offerta. Questo spiega perché le autorità politiche hanno dovuto adottare provvedimenti eccezionali, a volte anche con effetti contrastanti. In sostanza, hanno creato difficoltà alla produzione (l’offerta) per dover privilegiare l’aspetto sanitario rispetto a quello economico. Ma poi hanno dovuto fornire mezzi finanziari corposi, da un lato per impedire il tracollo dell’economia, e poi sostenere con altrettanta forza il potere d’acquisto della popolazione per evitare un tracollo dei consumi, cioè la domanda interna, mentre quella esterna (esportazioni, turismo) stava già scomparendo per conto suo.

L’operazione è costata molto, non solo alle finanze della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni. Secondo le prime indicazioni fornite dalla SECO, basate sulle cifre del lavoro ridotto, delle cifre d’affari delle aziende, delle esportazioni, nonché su interviste e stime interne nei vari settori, nel mese d’aprile il prodotto dell’economia dovrebbe essersi ridotto fra il 20 e il 28 per cento rispetto all’aprile del 2017. Cifre che nascondono la perdita di molti posti di lavoro, il fallimento di aziende, soprattutto nei settori che danno il contributo maggiore al prodotto interno lordo. Il tutto per un costo che può essere valutato oggi tra i 30 e gli 80 miliardi di franchi.

Le sofferenze maggiori sono visibili nei settori nel traffico aereo, nel turismo, nella ristorazione, negli alberghi e nei servizi personali. Da qui la necessità di aiuti immediati a questi settori. Ma anche l’industria e l’artigianato hanno sofferto parecchio, come del resto i mezzi pubblici, la logistica, l’edilizia, con cali di produzione tra il 20 e il 50 per cento. Hanno invece subito effetti positivi la posta, il settore farmaceutico e la pubblica amministrazione. Utilizzando il metodo per il calcolo del PIL, si può stimare che, nei quasi due mesi di chiusura, si sono persi dai 21 ai 30 miliardi di franchi. Ma non è finita, poiché la ripresa sarà molto lenta e si deve poter contare su una normalizzazione della situazione, non solo in Svizzera, ma in Europa e nel mondo, prima di poter tornare alla cosiddetta normalità.