Quando, più di 50 anni fa, ho cominciato a lavorare in una fabbrica italiana di gelati del Mendrisiotto, il direttore, il segretario di direzione e il capo del marketing erano svizzero-tedeschi. Il capo-vendite era sì un ticinese, ma abitava a Lucerna.
È solo un esempio per provare che, nel periodo della sua maggiore crescita, l’economia ticinese e, in particolare, il settore manufatturiero, erano attrattivi per gli svizzero-tedeschi che volentieri iniziavano in Ticino la loro carriera. Questo faceva sì, come osserva giustamente Elio Venturelli nel suo articolo, che il movimento migratorio degli svizzeri avesse un saldo positivo.
Oggi, invece, il saldo migratorio degli svizzeri è contraddistinto da due tendenze negative. La prima riguarda i giovani. In Ticino non immigrano più solo giovani e famiglie con bambini. Il saldo migratorio delle persone tra i 20 e i 39 anni è infatti negativo. In questa categoria di età sono più gli svizzeri che lasciano il Ticino di quelli che vengono ad abitarvi. La seconda tendenza ci dice che, per la popolazione di nazionalità svizzera, l’eccedenza migratoria è largamente costituita da persone con più di 40 anni. In Ticino gli svizzeri non vengono quindi più per lavorare, ma per godersi la pensione, contribuendo così non al ringiovanimento ma, purtroppo, all’invecchiamento della popolazione.
Per il momento abbiamo ancora gli immigranti stranieri che sono più giovani e aiutano così a rallentare lo svilupparsi di questo fenomeno. Le prospettive però non sono buone. Indipendentemente da come la Confederazione deciderà di dar seguito al mandato costituzionale che le è stato imposto dall’iniziativa sull’immigrazione di massa, è più che certo che in futuro avremo meno immigrati stranieri di quanto non ne abbiamo avuto negli ultimi dieci anni. E allora? Allora le previsioni sono facili da fare. Con un saldo naturale nullo o negativo, con un saldo migratorio degli svizzeri alimentato soprattutto da persone anziane e con un saldo migratorio degli stranieri in diminuzione, la tendenza all’invecchiamento della popolazione residente in Ticino si accelererà. Questa è la cattiva notizia che possiamo leggere tra le righe del contributo di Venturelli.
Nel suo contributo c’è però anche una notizia che sembrerebbe buona, ma, di fatto, è buona solo a metà. Per spiegare perché questa notizia è buona solo a metà devo partire dall’evoluzione della disoccupazione. In Ticino, nel corso degli ultimi venti mesi, il tasso di disoccupazione è diminuito eliminando praticamente la differenza che aveva con il tasso di disoccupazione medio nazionale. Si può affermare che una buona parte di questa diminuzione è da attribuirsi al calo della disoccupazione giovanile. Questa tendenza rappresenta la metà positiva della notizia. La metà negativa è invece quella che ci mostra Venturelli nel suo articolo. Ripetiamola: nelle classi di età tra i 20 e i 39 anni il saldo migratorio degli svizzeri è negativo.
Questo significa che dal Ticino partono più giovani svizzeri di quanti ne arrivino, il che suggerisce che, da noi, la diminuzione della disoccupazione giovanile è dovuta probabilmente al fatto che i giovani che non trovano occupazione lasciano il cantone. Molti di loro fanno dunque le valigie ed emigrano oltre S. Gottardo e nel resto del mondo. Così facendo scompaiono dai registri degli Uffici di collocamento e non sono più contati come disoccupati.
Per le persone che emigrano, l’esperienza può essere positiva anche se dovesse chiudersi con l’abbandono definitivo del cantone nel quale sono cresciuti. Dal profilo degli interessi ticinesi, tuttavia, l’emigrazione e, in particolare, l’emigrazione dei giovani non può essere considerata come una tendenza positiva e tanto meno la buona soluzione per la disoccupazione giovanile. È un rimedio di ultima istanza al quale sarebbe bello poter rinunciare.
Purtroppo sembra che la tendenza dei giovani ticinesi ad emigrare per trovare un’occupazione continua ad aggravarsi e stia diventando un dato strutturale per l’equilibrio del nostro mercato del lavoro. Un po’ come una volta gli stagionali, dapprima, e poi i frontalieri, giocavano il ruolo di valvole regolatrici, uscendo dal mercato del lavoro ticinese in periodi di bassa congiuntura e rientrando con la ripresa, oggi questo ruolo lo svolgono, con effetti regolatori minori, data la minore entità dei flussi, i giovani svizzeri. Si tratta di un fenomeno nuovo e poco conosciuto. Venturelli, in realtà, è il primo studioso ad occuparsene.
Così per mancanza di dati non si sa come siano formati i flussi di giovani che lasciano il Cantone. Si può però pensare che, in larga maggioranza, siano formati da persone con livelli di formazione elevati. La fuga dei cervelli è una delle maggiori tare delle regioni sottosviluppate. Ora sembra stia diventando un problema veramente serio per il Ticino che, non dimentichiamolo, è diventato, da venti anni e con grandi ambizioni per il futuro, un cantone universitario.