Un presidente «amichevole» con New Delhi

India-Usa – Narendra Modi e The Donald potrebbero diventare alleati in funzione anti-cinese e anti-pakistana
/ 28.11.2016
di Francesca Marino

«Noi siamo nazionalisti indiani, lui è un nazionalista americano: soltanto lui ci può capire». Così aveva dichiarato all’indomani dell’elezione di Donald Trump a quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti un gruppo di appartenenti all’RSS indiano, discussa organizzazione di estrema destra. I gruppi di militanti tra rulli di tamburi festanti e distribuzioni di dolci ai passanti erano scesi per festeggiare la vittoria del neo-presidente convinti, come molti in India, che la vittoria di Trump inaugurerà una stagione di più stretta vicinanza tra New Delhi e gli Stati Uniti e una ulteriore frattura tra Washington e Islamabad.

Guarda caso, a finire da subito nell’occhio del ciclone, per essersi recati alla Trump Tower a rendere omaggio al controverso presidente eletto, sono stati difatti tre uomini d’affari di Mumbai soci in affari dell’ineffabile Donald. Secondo indiscrezioni varie, i tre avrebbero discusso prima col neopresidente e poi con i suoi figli la possibilità di espandere ulteriormente la partnership indiana della Trump Organization. Che Donald Trump avesse degli affari in India non era un segreto per nessuno, visto che in campagna elettorale aveva lui stesso più volte raccontato in pubblico dei suoi trascorsi immobiliari a Mumbai e dintorni e si era più volte affannato a dichiarare che grazie a lui «India e Usa avranno insieme un formidabile futuro». 

Così, con uno dei giri di valzer a cui il miliardario presidente ci aveva abituato durante la campagna elettorale, The Donald metteva da parte una volta per sempre mesi di polemiche e di dichiarazioni infuocate nei confronti dell’India e degli indiani tutti. Colpevoli a suo dire di fornire, ovviamente a imprenditori del suo stesso genere, riserve potenzialmente illimitate di lavoratori a basso costo e, di conseguenza, di portar via il lavoro a tanti buoni americani bianchi e disperati. Fino a quel momento, la comunità indiana negli Stati Uniti, che aveva per due volte contribuito a eleggere Obama, aveva dichiarato quasi compatta l’intenzione di votare per Hillary Clinton.

Qualcuno, però, deve aver fatto notare a Trump che i voti della comunità, che non è per niente sparuta, non erano per nulla da disprezzare e che i suddetti voti sarebbero quasi certamente andati alla Clinton: visto che tradizionalmente gli indiani immigrati hanno sempre sostenuto il partito democratico. Detto fatto, The Donald ha cambiato rotta, e l’ha cambiata da par suo arrivando anche a sfiorare le vette del più sublime ridicolo: come quando nell’impeto di dichiararsi «un grande amico dell’India» ha detto di essere anche «un grande fan degli Hindu» suscitando in India e non solo un’ondata di indignazione e di ilarità per aver confuso una delle religioni praticate in India con la nazionalità indiana.

Con il senno di poi, però, probabilmente Trump sapeva bene ciò che diceva: tanto da mandare la nuora Laura a celebrare la festa di Diwali nel maggior tempio induista degli Stati Uniti, dove la ragazza ha dichiarato di apprezzare «veramente tanto la religione e la cultura hindu». Così, cavalcando l’onda del nazionalismo indiano che dall’elezione di Modi non accenna a scemare, The Donald ha centrato l’obiettivo. E la percezione di Trump come leader più «amichevole» verso l’India e i suoi valori di quanto non sarebbe stata Hillary Clinton non ha fatto che crescere.

In India difatti, fatta eccezione per la classe di intellettuali progressisti, l’elezione di Trump è stata in generale salutata con favore da una maggioranza più o meno trasversale. Shalabh Kumar, consigliere di Trump per quanto riguarda gli americani di origine indiana all’indomani del voto ha dichiarato che: «India e Usa saranno i migliori degli amici, non soltanto le nazioni ma anche i due rappresentanti, Trump e Modi». E Modi non ha aspettato un minuto a congratularsi con Trump, dichiarando su Twitter: «Non vedo l’ora di lavorare con te a stretto contatto per portare a nuove vette i rapporti bilaterali tra India e Usa». Kumar, nelle sue dichiarazioni, ha aggiunto che spera di veder raddoppiare l’ammontare degli scambi commerciali tra i due Paesi, e che si aspetta da Trump un inasprimento della lotta al terrorismo e pieno sostegno per i «bombardamenti chirurgici» indiani in Pakistan.

A pesare sul voto degli indiani di nazionalità americani è stata, difatti, certamente l’intenzione di Trump di tagliare le tasse a imprenditori e commercianti. Ma anche, fanno notare alcuni osservatori, la vicinanza della Clinton a Huma Abedin: che è musulmana e che viene percepita come «molto vicina ai pakistani» nonostante il padre della signora sia indiano di nascita. Le dichiarazioni di Trump a proposito di terrorismo islamico e del Pakistan che lo sostiene, hanno avuto una grande importanza nell’orientare il voto degli indiani e sulla percezione di Trump in India, e riflettono anche il cambio di atteggiamento, più aggressivo e interventista in politica estera dell’India negli ultimi sei mesi. New Delhi potrebbe trarre un enorme vantaggio dal rimescolamento dei pezzi sulla scacchiera geopolitica e dai nuovi orientamenti di Washington.

Le strategie economiche di Pechino e gli accordi cinesi con Islamabad preoccupano sia l’India che gli Stati Uniti. Il ri-bilanciamento dei poteri farebbe il gioco dell’India, che da anni aspetta una posizione più decisa da parte americana per contrastare l’espansione cinese e le aggressioni pakistane. E a Islamabad a quel punto non rimarrebbe che stare a guardare.