Un pericolo per le libertà e i diritti?

Il trionfo dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni alle recenti elezioni italiane pone pesanti interrogativi sul futuro di un Paese in crisi
/ 03.10.2022
di Alfio Caruso

In Italia è tornato il fascismo? Ecco l’interrogativo che peserà sul Governo di Giorgia Meloni (nella foto a lato) fino alla conclusione del suo mandato. Per la prima donna presidente del Consiglio, allontanare ogni ombra nostalgica sarà persino più determinante che scansare gli eventuali trabocchetti dei malmostosi sodali. Con Fratelli d’Italia (FdI) Meloni ha registrato un successo financo superiore a quello raggiunto da Silvio Berlusconi nel 1994 e da Beppe Grillo nel 2018. Forza Italia, infatti, raccolse l’enorme bacino di voti dei numerosi adepti della moribonda Democrazia Cristiana, mentre il comico dalla capigliatura tricolorata seppe abbindolare, nel nome di un’impossibile democrazia diretta, i tantissimi delusi dai partiti tradizionali.

Meloni è invece salita in quattro anni dal 4 al 26 per cento pur rimanendo fuori da parecchi palcoscenici televisivi, sociali, editoriali. Trent’anni di politica le hanno però suggerito la mossa rivelatasi vincente: un’opposizione indefettibile a qualunque tipo di Governo si sia succeduto dall’estate 2018. Da qui è derivato pure il merito della coerenza ampiamente riconosciutole dagli elettori assieme al suo essere donna, all’essere considerata nuova, benché già nel 2008 fosse ministra in un Governo Berlusconi, al solleticare le viscere fasciste del Paese.

Meloni ha infatti alternato le dogmatiche posizioni figlie della sua cultura – no ai presunti poteri forti del Vecchio Continente, no alle regole europee, no ai trasferimenti di competenze da Roma a Bruxelles, no al superamento dei vecchi confini patriottici – a dichiarazioni permeate da un sano realismo. È stata fulminea nello schierarsi con gli Stati Uniti in difesa dell’Ucraina; ha sostenuto l’invio delle armi a Kiev in nome dell’Occidente e dell’atlantismo; ha aperto diversi canali di comunicazione con la Banca centrale e con i governanti dell’Europa, consapevole che l’enorme debito pubblico dell’Italia la rende bisognevole di ogni sostegno finanziario e dunque necessita della benevolenza di chi può determinare l’acquisto dei titoli di Stato.

Meloni si sforzerà di far convivere i suoi obblighi e le sue convenienze di capa del Governo con le alleanze, che nella Ue la vedono in stretti rapporti con le Nazioni dell’Europa orientale, la Polonia in testa a tutte, e con l’isolatissimo Viktor Orban, il più lesto a complimentarsi. Per riuscirci dovrà garantirsi una serena conduzione interna. Le insidie non provengono da un’opposizione alquanto sbrindellata: il Pd alla ricerca dell’ennesima rifondazione al culmine di 16 anni di sconfitte; il M5S abbarbicato al reddito di cittadinanza, che andrà comunque cambiato, e privo di qualsiasi strategia. Entrambi i partiti sono probabilmente pentiti di non essersi alleati per contrastare la Destra. La responsabilità investe in primis Enrico Letta intestarditosi nel rifiutare Giuseppe Conte, imputato di aver provocato la caduta del gabinetto Draghi. Tuttavia lo stesso Letta ha aperto le porte al radicale di sinistra Nicola Fratoianni, capace per oltre 50 volte di negare la fiducia a Draghi. L’unica consolazione per i disastrati perdenti è che il mitico e necessario campo largo sarebbe comunque rimasto un’utopia, stante il rifiuto del duo Calenda-Renzi, confluito in Azione, di accordarsi con Conte e Fratoianni.

Ma il guazzabuglio delle occasioni perdute dal Centrosinistra appartiene in ogni caso al passato. Al presente Meloni dovrà guardarsi dai colpi di coda di un Matteo Salvini assai contestato all’interno della Lega, dopo aver sbagliato tutto quello che poteva sbagliare, e dell’86enne Berlusconi alla ricerca di un’ultima affermazione. Per quanto la sua maggioranza sia legata all’assenso di Lega e Forza Italia, l’impressione è che i travolgenti numeri dell’elezione le conferiscano il diritto quasi intangibile di distribuire le carte. Poi ci saranno i problemi da risolvere: la legge di bilancio; la riforma delle pensioni; il superamento del reddito di cittadinanza con un’altra forma di sussidio a quanti vivono in povertà, all’incirca dieci milioni di persone; il costo impazzito delle bollette di luce e gas sul punto di strangolare famiglie e aziende.

In questo quadro rabbrividente il fascismo che ruolo gioca? All’apparenza nessuno, premettendo che un fascismo senza Mussolini non esiste e che gli italiani fra il 1922 e il 1945 furono mussoliniani, non fascisti. Meloni non smette di ricordare di esser nata a 30 anni dalla fine della Repubblica di Salò, estremo rigurgito del mussolinismo; di essere cresciuta in un partito fondato da ex gerarchi del ventennio, i quali avevano però accettato le regole del gioco democratico. Tuttavia il trionfo di FdI autorizza il timore di una compressione delle libertà e soprattutto dei diritti. Fra gli eletti compaiono campioni dell’omofobia; della famiglia tradizionale in dichiarata opposizione a quella composta da due mamme o da due papà; dell’avversione quasi fanatica ai transgender. Meloni fino a quale livello riterrà che la propria nomea coinciderà con il garantire comportamenti a lei estranei? Quando dichiara che alle donne va assicurato il diritto di non abortire, lo fa soltanto per vellicare la parte più tradizionalista del proprio elettorato? O lo crede davvero? In tal caso fingerebbe d’ignorare che la maggioranza dei ginecologi italiani sia obiettore di coscienza e di conseguenza ci sono regioni, come le Marche guidate da un presidente di FdI, dov’è quasi impossibile abortire, alla faccia dell’apposita legge 194. D’altronde, pure l’uso della pillola del giorno dopo è sottoposto a ostacoli ricorrenti. Senza arrivare a quello che presto sarà realtà in Francia (gratuità di questa pillola per tutte le donne a partire dal 2023), Meloni metterà le sue connazionali nella condizione di usufruirne senza problemi?

Ecco le risposte da fornire per dimostrare che le libertà non sono state intaccate dalla sua ascesa, che la sua destra niente ha da condividere con quella degli amici di oltralpe, che non è un caso la simpatia di Marine Le Pen per Salvini. E pazienza se la Storia si diverte a stuzzicarla. Considerate le procedure per la proclamazione degli eletti, la nomina dei presidenti di Camera e Senato, le consultazioni dei segretari di partito, è probabile che l’incarico di formare il Governo le venga conferito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella intorno al 28 ottobre. Sarà il centenario della buffonesca ed eversiva marcia delle camicie nere su Roma. Grazie all’ignavia del re Vittorio Emanuele III e del presidente del Consiglio Luigi Facta, che si rifiutarono di usare l’esercito, rappresentò il primo passo della conquista del potere da parte di Mussolini.