Un nuovo movimento dei non allineati?

Perché il sud del mondo rifiuta di prendere partito tra i sostenitori dell’Ucraina e quelli dei loro invasori russi
/ 11.04.2022
di Pietro Veronese

Intervistato dal «Guardian» davanti alla merce esposta nella sua bottega del Cairo, il fruttivendolo Yousef si dice preoccupato dalla guerra in Ucraina. «Se la Russia userà le bombe atomiche», ragiona Yousef, «il clima del pianeta ne risulterà ancora più perturbato». Queste parole, raccolte da una cronista nelle vie della capitale egiziana, riassumono a meraviglia l’atteggiamento che sembra accomunare quell’ampia parte di mondo a sud della nostra, molto più lontana di noi dagli orrori dell’invasione russa. La distanza geografica è anche distanza emotiva, ci spiegano esperti e osservatori internazionali come il camerunese Paul-Simon Handy. Lo spettro di un’escalation nucleare, più volte evocata da Vladimir Putin e dai suoi ministri, attanaglia le opinioni pubbliche europee; ma all’uomo della strada del Cairo quel fantasma non fa pensare in primo luogo all’olocausto delle città, all’ecatombe di milioni di cittadini, bensì alla possibile alterazione delle precipitazioni che potrebbe mandare in malora il raccolto dei suoi pomodori. E se accusassimo Yousef di indifferenza, probabilmente ci risponderebbe che la guerra nello Yemen, con le sue stragi di bambini, le atrocità in Sud Sudan, nell’est della Repubblica democratica del Congo o in Tigré non hanno tolto il sonno a nessuno in Europa.

Quando esplosero le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, nel 1945, c’erano due miliardi e mezzo di umani sulla Terra e uno su cinque era un europeo. Oggi siamo circa otto miliardi e meno di uno ogni dieci abita nel nostro continente. Numeri, rapporti, dislocazione geografica sono enormemente cambiati e con essi sono cambiati i punti di vista. L’economista David Adler, coordinatore della coalizione progressista internazionale Progressive international, ipotizza addirittura la nascita di un nuovo movimento dei non allineati. Come nei decenni della Guerra Fredda, quando numerosi Paesi dell’Asia e dell’Africa non vollero schierarsi né con gli Stati Uniti né con l’Unione Sovietica, anche davanti alla guerra in Ucraina numerosi governi del sud del mondo, in sintonia con le loro opinioni pubbliche, rifiutano di prendere partito tra i sostenitori dell’Ucraina e quelli dei loro invasori.

Lo si è visto con luminosa chiarezza il 2 marzo, quando l’Assemblea generale delle Nazioni unite è stata chiamata a votare una mozione di condanna dell’invasione russa. Il risultato è stato 141 a favore, 35 astenuti, 12 che sono usciti dall’aula e soltanto 5 contrari (Russia, Bielorussia, Siria, Corea del Nord, Eritrea). Questo risultato è stato giustamente definito straordinario, una condanna senza appello del Paese aggressore. Anche Paesi oggi filorussi come la Serbia o l’Ungheria hanno votato a favore della mozione. Ma se guardiamo alla distribuzione geografica, il quadro cambia radicalmente. L’Africa appare spaccata: 28 favorevoli contro 25 astenuti e uno contrario. L’Asia, al seguito della Cina, si è astenuta in proporzione schiacciante. Se poi andiamo oltre la condanna generica e osserviamo chi è favorevole alle sanzioni, cioè ad azioni concrete, il risultato è che, al di là del consenso euro-americano più un pugno di altri Paesi, tra cui l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud, il resto del pianeta è un coro di no. La maggior parte, compresa l’America Latina, ha optato per una decisa neutralità.

C’è dietro questo schieramento un insieme di ragioni, composito e complesso. In primo luogo, un diffuso sentimento di fastidio per quella che viene vista come un’ipocrisia dell’Occidente: pronto a condannare le aggressioni altrui e a giustificare le proprie, come la guerra in Iraq o in Afghanistan. Poi la percezione che l’invasione dell’Ucraina sia in realtà uno scontro tra le superpotenze russa e americana, «il che», afferma Paul-Simon Handy in un’intervista a «Le Monde», «provoca spesso in Africa un riflesso di non allineamento». C’è anche, in certi gruppi dirigenti, un tradizionale riflesso filo-russo che risale ai tempi della lotta di liberazione e al sostegno sovietico di quell’epoca: è il caso per esempio del Sudafrica, ma non solo. E ci sono dinamiche più recenti, come in Mali, dove le manifestazioni contro i francesi (che hanno finito per ritirare il loro contingente militare, sostituito dai mercenari russi del Gruppo Wagner), sono state punteggiate da slogan in favore di Vladimir Putin. «Ma questa putinofilia», dice ancora Handy, «esprime meno un’adesione alla politica russa che un rifiuto dell’Europa e dell’Occidente».

Sta di fatto che la guerra in Ucraina sembra aver creato – o forse solo rivelato – un solco tra il sud e il nord del mondo. Solo i mesi futuri ci riveleranno se esso sia destinato ad approfondirsi, oppure ad attenuarsi. Per adesso, i nostri media si compiacciono della ritrovata compattezza occidentale, o lamentano le dissonanze che provengono dalle minoranze filorusse tra gli intellettuali e i politici di casa nostra, e sembrano del tutto indifferenti alla silenziosa distanza del mondo più lontano. Distanza che non ha contribuito a ridurre il trattamento ferocemente discriminatorio, per non dire francamente razzista, riservato alle migliaia di studenti universitari (e non solo) africani e asiatici sorpresi dalla guerra nelle città ucraine. Sono state numerosissime le testimonianze di queste persone, che non hanno ricevuto alcun aiuto per raggiungere i confini dell’Ucraina, anzi spesso sono stati fatti scendere dai mezzi di trasporto sui quali erano riusciti a trovare un posto, per lasciarlo agli ucraini. Poi sono stati respinti dai Paesi confinanti, che hanno negato loro l’ingresso, come per esempio la Polonia, costringendoli a spostarsi verso altri confini in condizioni estreme di freddo e di fame. Infine, una volta «accolti», sono stati richiusi in campi di internamento. Trattati come migranti illegali e non come profughi di guerra, alla stregua di tutti gli altri. I media africani ne hanno riferito a iosa. Non è stato il modo migliore per ottenere solidarietà da quella parte di mondo.